Il socialismo come “nemico della croce”
Il Vescovo José Ignacio Munilla, della diocesi di Orihuela-Alicante in Spagna, ha definito il socialismo un’ideologia “nemica della croce” durante la Conferenza su Cattolici e Vita Pubblica organizzata dall’Associazione Cattolica dei Propagandisti lo scorso fine settimana.
Nel suo intervento, intitolato “Pensare e agire in tempi di incertezza”, Munilla ha sottolineato: “Non possiamo affrontare questo attacco e questa imposizione sistematica di una nuova società solo con critiche o una nuova leadership politica, ma è necessario un movimento di conversioni. Usciremo da questa crisi solo attraverso un rinnovamento della santità.”
Il vescovo ha evidenziato che la società necessita di un “cambiamento di visione, passando dall’essere nemici della croce a diventare il popolo della croce”, sottolineando che “senza la croce non c’è gloria; è un grave errore separare la croce dalla felicità. La croce ci conduce alla gloria, e la gloria è la felicità piena.”
In questo contesto, ha descritto il socialismo come un’ideologia “nemica della croce”, le cui correnti sociologiche e politiche si sono trasformate nella “tomba dei popoli, in cui lo Stato balia risolve tutti i problemi” senza fare appello al sacrificio e all’impegno personale.
Secondo Munilla, questa mentalità sta generando una “crisi antropologica che viene elevata al rango di legge e di norma suprema, cercando di ribellarsi contro l’ordine naturale, trasformando le ferite in diritti invece di accettare le ferite emotive come frutto della disintegrazione familiare.”
La crisi del consumismo e del rifiuto della sofferenza
Il vescovo ha aggiunto che “stiamo cercando di compensare il vuoto interiore dell’uomo con il consumismo e il materialismo; fuggendo dall’impegno affettivo e dall’apertura al dono della vita; e la sofferenza viene trattata come qualcosa di incompatibile con la dignità umana: questo mondo soffre così tanto perché non vuole soffrire, perché sfugge alla croce di Cristo.”
Hadjadj: affrontare l’incertezza è una sfida vitale
Il filosofo francese Fabrice Hadjadj, nel suo intervento intitolato “Quo Vadis? Pensare e agire in tempi di incertezza”, ha invitato ciascuno a impegnarsi personalmente. “Dove stai andando? Non chiediamoci ‘dove sta andando il mondo’, perché con questa domanda si può rimanere spettatori e accontentarsi di lamentarsi,” ha dichiarato.
Hadjadj ha spiegato che vivere in un’epoca di incertezza “non è una sfida qualsiasi” ma un quesito “di vita o di morte.” Per affrontarla, è necessario “avere un’anima guarita e accettare di avere un corpo segnato dal martirio.”
Ha anche sottolineato che è inevitabile sperimentare “l’emozione meno confessabile: la paura. Non tanto la paura di morire, quanto quella di essere all’altezza della sfida, di mantenere la reputazione di essere vivi.”
Secondo Hadjadj, questa sfida si manifesta in Europa postmoderna, dove una società che “dispera dell’umano” oggi tende a “costituzionalizzare l’aborto e l’eutanasia, e a rivedere la storia coloniale mettendo insieme conquistatori e missionari.”
Queste richieste, che molti immaginano come legate all’affermazione della libertà individuale, “derivano dalla morte dell’aspirazione e corrispondono all’agitazione della disperazione,” ha concluso il filosofo.
Ayaan Hirsi Ali: meno cristianesimo, maggiore crisi sociale
L’attivista per i diritti umani Ayaan Hirsi Ali ha sottolineato che “più diminuisce la presenza del cristianesimo nella società, maggiore è la crisi sociale in Occidente.”
Nel suo intervento intitolato “Liberi di cercare la verità”, Hirsi Ali ha spiegato che il multiculturalismo e la globalizzazione sono “due facce della stessa medaglia.” Da un lato, c’è una “ritribalizzazione della società” con la crescita di gruppi identitari “senza lealtà nazionale verso il paese che chiamano casa.” Dall’altro, si osserva la frammentazione della società, con la perdita di valori condivisi e l’etnicizzazione di tutte le questioni politiche.
Hirsi ha denunciato le “restrizioni atroci alla libertà di espressione e religione” e il “riemergere di un razzismo socialmente accettabile e legittimo contro i bianchi e contro gli ebrei in Europa e in America, in nome della giustizia sociale intersezionale.”
Ha inoltre criticato la proliferazione di “pseudo-religioni” e idee che “sfidano la realtà,” come la teoria dei generi multipli. Queste tendenze, secondo Hirsi, rendono sempre più difficile insegnare ai bambini la differenza tra bene e male.
Recuperare un cristianesimo forte
Per Hirsi Ali, è essenziale “recuperare un cristianesimo forte e affidabile. Le chiese devono smettere di adottare ogni nuova moda e tornare al vero messaggio e insegnamento di Cristo.”
Ha anche evidenziato l’importanza di contrastare il declino demografico in Europa, rendendo attraente per i giovani il matrimonio e la famiglia. Inoltre, scuole, università e arti dovrebbero riconoscere il loro ruolo nel promuovere l’etica cristiana che ha contribuito alla formazione delle istituzioni occidentali.
“Solo recuperando un senso di unità basato su valori comuni e non sulle differenze potremo costruire società più forti e coese in questi tempi incerti,” ha concluso.
La presenza dei giovani alla conferenza
La 26ª Conferenza su Cattolici e Vita Pubblica ha coinvolto in particolare i giovani, con oltre 1.000 partecipanti da diverse città spagnole. Tra le iniziative, una tavola rotonda con evangelizzatori digitali come Carlos Taracena, Carla Restoy e Irene Alonso, che hanno offerto testimonianze per ispirare una nuova generazione di cristiani impegnati.