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Tag: Gustavo Zerbino

Tragedia delle Ande: La Fede che ha Salvato 16 Vite

Il 13 ottobre 1972 un aereo uruguaiano si schiantò sulla Cordigliera delle Ande. Dei 45 passeggeri, solo 16 sopravvissero. Tra loro c’è Gustavo Zerbino, che oggi, a distanza di oltre cinquant’anni, racconta in esclusiva a EWTN come la fede, la solidarietà e il coraggio abbiano fatto la differenza tra la vita e la morte. Una testimonianza unica, che ci ricorda la forza dello spirito umano e l’importanza della speranza.


Venerdì 13 ottobre 1972, un aereo uruguaiano che trasportava 45 passeggeri diretti in Cile si schiantò sulla Cordigliera delle Ande. I giovani della squadra di rugby dell’Old Christians Club e alcuni dei loro parenti affrontarono temperature rigide e la mancanza di cibo. Solo 16 persone sono sopravvissute a tutto questo e hanno dedicato la loro vita a ricordare gli amici che non sono più tornati a casa.    

Gustavo Zerbino è uno dei sopravvissuti e in questa intervista ricorda quel momento che ha cambiato la sua e la loro vita e spiega come la fede li abbia sostenuti durante quei giorni sulle Ande.  

Paola Arriaza: Gustavo Zerbino, il 13 ottobre 1972 l’aereo su cui viaggiava con la sua squadra di rugby si è schiantato sulla Cordigliera delle Ande. Cosa ricorda di quel momento? 

Gustavo Zerbino: Beh… Mi sta riportando a un momento chiave, un punto di svolta nella mia vita. In quell’istante, stavamo cantando e saltando con i nostri amici verso il Cile per un lungo weekend, e all’improvviso, in un solo secondo, un vuoto d’aria ci fece precipitare di mille metri, e mi resi conto che…Il pilota volle fare tutto il possibile per evitare lo schianto dell’aereo  contro il fianco della montagna, quindi ce la mise tutta, e l’aereo sembrò come spezzato. In quel preciso momento, proprio prima dell’impatto, mi slacciai la cintura di sicurezza e mi alzai in piedi. Feci l’esatto contrario di quello che si dovrebbe fare. E poi l’aereo si spezzò… […]  Mi resi conto di essere vivo e, quando feci un passo indietro, sprofondai nella neve fino alla vita.   A 4.500 metri di altitudine non c’è ossigeno. Il cuore batte forte, l’aria non riempie i polmoni, la mente si muove al rallentatore e le orecchie e il naso iniziano a sanguinare. Cerchi di alzarti, ma ti sembra di avere uno zaino di 100 chili sulla schiena.   

…in quale momento avete deciso di mangiare i corpi dei defunti per sopravvivere? 

Gustavo Zerbino: Ricordo che stavamo aspettando i soccorsi . Il giorno in cui abbiamo sentito alla radio che non ci stavano più cercando…. Ci siamo resi conto che l’unico modo per sopravvivere era con i nostri mezzi. La decisione fu presa all’unanimità, eravamo tutti d’accordo. 

In quel momento su una montagna, in quelle notti fredde, abbracciandosi, dandosi calore, in quel silenzio e in quella solitudine, l’unica cosa che si poteva sentire erano i piccoli grani del rosario, giusto? 

Gustavo Zerbino: Sì, di notte. Per 73 giorni, ogni notte, abbiamo recitato il rosario per tre motivi.  Primo, ringraziare Dio perché eravamo vivi e chiedere alla Vergine la forza. Quel giorno, anche se otto persone erano morte sotto una valanga, abbiamo ringraziato per essere vivi: il solo fatto di essere lì era un motivo sufficiente per essere grati.  Il secondo motivo era che, nell’oscurità della notte, nessun pensiero negativo poteva impadronirsi della nostra mente.   Il terzo è che eravamo in sedici, seduti in cerchio, e ogni cinque minuti qualcuno doveva recitare il rosario ad alta voce. Perché se ci si addormentava, si moriva di freddo. 

Gustavo, ha avuto qualche colloquio con Dio in quei giorni?  

Gustavo Zerbino: Tutto il giorno, avevamo un legame diretto. Dio era l’amico che ti dava l’acqua, che ti accarezzava i piedi, che ti abbracciava: era l’amore.   In mezzo alla montagna, ti senti così piccolo, così insignificante, mentre la montagna è così vasta, così immensa, che puoi veramente percepire la presenza di Dio. 

Com’è stato il giorno in cui siete stati salvati? 

Gustavo Zerbino: Ebbene, nessuno ci ha salvato. Siamo usciti da soli, abbiamo attraversato le montagne da soli, perché Parrado e Canessa hanno camminato stoicamente per dieci giorni, arrampicandosi e facendo trekking tra le montagne, sopportando temperature rigidissime, cosa che nemmeno una persona con un equipaggiamento adeguato potrebbe sopportare.  

Nel 50° anniversario di questo incidente, lei ha scritto a Papa Francesco, un argentino, non è vero? E gli ha chiesto di partecipare alla celebrazione eucaristica con tutti. Se lo ricorda?  

Gustavo Zerbino: Sì. Ho incontrato il Papa, sono stato con lui quattro volte. Con Scholas Occurentes abbiamo realizzato molte azioni di grande impatto in tutto il mondo. Gli ho scritto e gli ho detto che questo 50° anniversario era importante per il mondo perché nelle Ande erano successe cose significative: la Vergine aveva avuto un ruolo fondamentale, Dio ci aveva dato la forza, e una Messa di ringraziamento sarebbe stata significativa. Sarebbe bello avere un suo messaggio. 

Come sono stati gli anni successivi? 

Gustavo Zerbino: Ogni giorno, quando mi sveglio, ho 1.440 minuti per fare quello che voglio. Sono felice. Tutte le cose che faccio nel mondo mi ricordano ogni giorno i miei amici che sono morti fisicamente , ma vivono dentro di me e ogni persona che mi sta davanti è un fratello. Per questo la vita è piena di speranza e di grande impegno. 

Gustavo Zerbino, è stato un piacere. 

Gustavo Zerbino: Grazie mille. 

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