Non fu la sua prima salvezza nel campo, né l’ultima. Il 29 luglio 1941, nella piazza dell’appello di Auschwitz, un grido lacerante uscì dalla gola di Franciszek Gajowniczek:
“Pietà per mia moglie e i miei figli!”
Il prigioniero n. 5659 era stato selezionato, insieme ad altri nove uomini, per essere condannato a morire di fame — una punizione per l’evasione di un altro detenuto.
Pochi istanti dopo, si verificò un evento straordinario. Dalle file dei prigionieri avanzò Padre Massimiliano Kolbe, francescano conventuale:
“Sono un sacerdote. Voglio morire al suo posto!”
La sua offerta fu accettata.
Gajowniczek sopravvisse alla guerra, ma la sua vita fu segnata dal dolore e dalla sofferenza.
A trent’anni dalla sua morte, avvenuta il 13 marzo 1995 all’età di 93 anni, la sua storia straordinaria merita di essere raccontata ancora.
Una generazione segnata dalla lotta
Gajowniczek proveniva da una famiglia polacca povera. Era nato il 15 novembre 1901 a Strachomin, un villaggio situato a circa 100 km a est di Varsavia. Attratto dalla carriera militare, prestò servizio nel 36º Reggimento Fanteria della Legione Accademica a Varsavia e venne ferito nel 1926 durante un colpo di Stato. In quel periodo, l’esercito era l’intera sua vita.
Padre Massimiliano Kolbe, di qualche anno più anziano, nacque l’8 gennaio 1894 a Zduńska Wola, cittadina industriale. Entrò in noviziato nel 1910, prendendo il nome di Massimiliano. Quando sembrava che la Polonia potesse riconquistare l’indipendenza, Kolbe pensò persino di lasciare l’ordine per combattere, ma la Provvidenza lo guidò verso un’altra missione.
Tempo di pace
Gajowniczek conobbe presto Helena, la donna della sua vita. Dopo il matrimonio, la giovane coppia si stabilì nel quartiere Praga di Varsavia. Helena diede alla luce due figli: Bogdan (1927) e Juliusz (1930). Nelle foto familiari, lui appariva orgoglioso in uniforme, lei vestita in abiti tradizionali, con i due figli accanto. Bogdan eccelleva in matematica; Juliusz aveva talento per il commercio.
Mentre Gajowniczek costruiva una famiglia felice, Padre Kolbe lanciava la prima tiratura di 5.000 copie della rivista mariana “Il Cavaliere dell’Immacolata”. Prima della guerra, la pubblicazione superava i 700.000 abbonati e raggiungeva non solo i membri della Milizia dell’Immacolata (quasi un milione), ma anche innumerevoli famiglie polacche.
La guerra
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, Gajowniczek, ora sergente, difese Wieluń — la prima città polacca bombardata dai tedeschi — e combatté con coraggio presso la fortezza di Modlin. Fu proposto per la Croce al Valore.
Dopo che la sua unità fu distrutta, cadde prigioniero dei tedeschi, ma riuscì a fuggire e unirsi alla resistenza clandestina. Tuttavia, fu catturato dalla Gestapo mentre tentava di raggiungere l’Ungheria. Subì sette mesi di interrogatori brutali prima di essere deportato ad Auschwitz nel settembre 1940.
Helena sapeva solo che il marito era in un campo, ma ignorava tutto del suo destino.
Intanto, mentre la guerra infuriava, centinaia di polacchi espulsi da Poznań e dall’ovest del Paese — tra cui 1.500 ebrei — trovarono rifugio nel monastero di Niepokalanów, dove Padre Kolbe offriva aiuto a chiunque, senza distinzione di religione. Ma la sua popolarità e la sua influenza spirituale lo resero un bersaglio: nel febbraio 1941 fu arrestato e inviato prima alla prigione di Pawiak, poi ad Auschwitz.
La salvezza nella piazza
Fu nella piazza dell’appello del Blocco 14 che i destini di Kolbe e Gajowniczek si incrociarono.
Durante il tragico appello, Padre Kolbe si fece avanti per offrire la propria vita al posto di quella di Gajowniczek. Un gesto che lasciò sbigottiti i prigionieri e i soldati presenti.
Quello non fu il primo miracolo della vita di Gajowniczek. Alcuni mesi prima, era stato selezionato con altri 300 prigionieri per l’esecuzione, in risposta alla distruzione di un treno tedesco da parte dei partigiani — ma l’ordine fu revocato. Poi, nel 1942, contrasse il tifo. Una febbre così alta significava spesso la morte ad Auschwitz, ma alcuni compagni lo curarono con coraggio, e un medico dell’esercito gli somministrò iniezioni che lo salvarono.
“Volevo vivere perché il sacrificio di Padre Kolbe non fosse vano,” raccontò.
“Mi proteggevo con il doppio della forza. Mi ha dato energia — credo dal cielo. Come potevo sprecare la sua vita? L’ha offerta perché io potessi tornare da mia moglie e godermi i miei figli.”
Un sopravvissuto
La volontà di vivere di Gajowniczek era straordinaria. Sopravvisse non solo ad Auschwitz, ma anche al campo di Sachsenhausen. Due settimane prima della fine della guerra, fu costretto a una marcia della morte: 12 giorni senza cibo né acqua, nutrendosi solo di erba secca e ortiche.
Non sapeva ancora che, a casa, lo attendeva una tragedia.
Il lutto
Nell’autunno del 1945 tornò in Polonia. A Rawa Mazowiecka, vicino Varsavia, ritrovò finalmente Helena. Ma pochi minuti dopo, si recarono insieme alle tombe dei figli.
I bambini erano sopravvissuti quasi fino alla fine della guerra, ma morirono il 17 gennaio 1945, durante un bombardamento dell’Armata Rossa. Helena, uscita per spedire un pacco al marito, al ritorno trovò i corpi dei suoi figli tra le macerie.
“Se non fossi sopravvissuto, Helena non ne sarebbe uscita,” disse.
“Sarebbe stato meglio se fossi morto io e loro fossero vissuti. Ma tale è la volontà divina: io sono risorto al loro posto, e loro sono morti.”
Nel 1946 si trasferirono a Brzeg, vicino Wrocław. Non ebbero più figli. Lui lavorava nell’amministrazione comunale; lei in un negozio. Vivevano in una casa silenziosa, tra api, conigli e ricordi.
La voce del sopravvissuto
Nel 1946, la rivista “Cavaliere dell’Immacolata” pubblicò il suo racconto intitolato “La voce del sopravvissuto”.
“Sono cresciuto in un’atmosfera religiosa. La fede fu il mio unico sostegno nei momenti più duri. Il sacrificio di Padre Kolbe rafforzò la mia devozione alla Chiesa Cattolica, che dà vita a eroi così.”
Nel 1949 iniziò il processo di beatificazione di Kolbe. Fu proclamato beato da Paolo VI nel 1971 e santo da Giovanni Paolo II nel 1982.
Gajowniczek partecipò a tutte le cerimonie.
Gli ultimi anni
Helena morì nel 1982, lo stesso anno della canonizzazione. Fu sepolta accanto ai figli.
Negli anni ’80, Gajowniczek si risposò con Janina, la sua assistente. La loro casa divenne meta di pellegrinaggi, tra cui quello dei superiori religiosi del Giappone.
Viaggiarono insieme in Europa e negli Stati Uniti. Nel 1989, fu ricevuto dal Presidente George H. W. Bush alla Casa Bianca.
Tornava spesso a Niepokalanów, specialmente il 14 e 15 agosto, anniversario della morte e festa di San Massimiliano.
Morì a Brzeg il 13 marzo 1995, all’età di 94 anni. Fu sepolto nel cimitero del santuario di Niepokalanów.
Durante il funerale, il vescovo lo ricordò con una frase toccante:
“Era una reliquia vivente rimasta dopo Padre Massimiliano.”
Tradotto e adattato dal team di EWTN Italia. L’originale si trova qui.