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TESTO COMPLETO: Documento Finale della Seconda Sessione del Sinodo sulla Sinodalità

Sinodo dei Vescovi il 26 ottobre 2024. Credit: Vatican Media

#synod24 – Documento Finale della Seconda Sessione della XVI  Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27  ottobre 2024) “Per una Chiesa sinodale: comunione,  partecipazione, missione” 

Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro  le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20,19-20). 

1. Ogni nuovo passo nella vita della Chiesa è un ritorno alla sorgente, un’esperienza rinnovata  dell’incontro con il Risorto che i discepoli hanno vissuto nel Cenacolo la sera di Pasqua. Come loro  anche noi, partecipando a questa Assemblea sinodale, ci siamo sentiti avvolti dalla Sua misericordia  e toccati dalla Sua bellezza. Vivendo la conversazione nello Spirito, in ascolto gli uni degli altri,  abbiamo percepito la Sua presenza in mezzo a noi: la presenza di Colui che, donando lo Spirito Santo,  continua a suscitare nel Suo Popolo una unità che è armonia delle differenze. 

2. Contemplando il Risorto, ricordiamo che «siamo stati battezzati nella sua morte» (Rm 6,3).  Abbiamo scorto i segni delle Sue ferite, trasfigurate da una nuova vita, ma incise per sempre nella  Sua umanità. Queste ferite continuano a sanguinare nel corpo di tanti fratelli e sorelle, anche a causa  delle nostre colpe. Lo sguardo sul Signore non allontana dai drammi della storia, ma apre gli occhi  per riconoscere la sofferenza che ci circonda e ci penetra: i volti dei bambini terrorizzati dalla guerra,  il pianto delle madri, i sogni infranti di tanti giovani, i profughi che affrontano viaggi terribili, le  vittime dei cambiamenti climatici e delle ingiustizie sociali. Le loro sofferenze sono risuonate in  mezzo a noi non solo attraverso i mezzi di comunicazione, ma anche nella voce di molti,  personalmente coinvolti con le loro famiglie e i loro popoli in questi tragici eventi. Nei giorni in cui  siamo stati riuniti in Assemblea, tante, troppe guerre hanno continuato a provocare morte e  distruzione, desidero di vendetta e smarrimento delle coscienze. Ci uniamo ai ripetuti appelli di papa  Francesco per la pace, condannando la logica della violenza, dell’odio, della vendetta e impegnandoci  a promuovere quella del dialogo, della fratellanza e della riconciliazione. Una pace autentica e  durevole è possibile e insieme possiamo costruirla. «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce  degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (GS 1) sono state ancora  una volta le gioie e le tristezze di tutti noi, discepoli di Cristo. 

3. Da quando nel 2021 il Santo Padre ha dato avvio a questo Sinodo, abbiamo intrapreso un  percorso di cui scopriamo sempre più la ricchezza e la fecondità. Ci siamo messi in ascolto, attenti a  cogliere nelle tante voci quello che «lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7). Il cammino è iniziato con  la vasta consultazione del Popolo di Dio nelle nostre Diocesi ed Eparchie. È proseguito con le tappe  nazionali e continentali, nella circolarità di un dialogo costantemente rilanciato dalla Segreteria  Generale del Sinodo attraverso documenti di sintesi e di lavoro. La celebrazione della XVI Assemblea  Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi nelle sue due Sessioni ci permette ora di consegnare al  Santo Padre e a tutte le Chiese la testimonianza di ciò che abbiamo vissuto e il frutto del nostro  discernimento, per un rinnovato slancio missionario. Il cammino è stato segnato in ogni sua fase dalla  sapienza del “senso della fede” del Popolo di Dio. Passo dopo passo, abbiamo compreso che al cuore  del Sinodo 2021-2024. Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione c’è una  chiamata alla gioia e al rinnovamento della Chiesa nella sequela del Signore, nell’impegno al servizio  della sua missione, nella ricerca dei modi per esserle fedeli. 

4. Questa chiamata si fonda sulla comune identità battesimale, si radica nella diversità di  contesti in cui la Chiesa è presente e trova unità nell’unico Padre, nell’unico Signore e nell’unico  Spirito. Essa interpella tutti i Battezzati, senza eccezioni: «Tutto il Popolo di Dio è il soggetto dell’annuncio del Vangelo. In esso, ogni Battezzato è convocato per essere protagonista della  missione poiché tutti siamo discepoli missionari» (CTI, n. 53). Il cammino sinodale ci orienta così  verso una piena e visibile unità dei Cristiani, come hanno testimoniato, con la loro presenza, i delegati  delle altre tradizioni cristiane. L’unità fermenta silenziosa dentro la Santa Chiesa di Dio: è profezia  di unità per tutto il mondo.  

5. L’intero cammino sinodale, radicato nella Tradizione della Chiesa, si è svolto nella luce del  magistero conciliare. Il Concilio Vaticano II è stato, infatti, come un seme gettato nel campo del  mondo e della Chiesa. La vita quotidiana dei credenti, l’esperienza delle Chiese in ogni popolo e  cultura, le molteplici testimonianze di santità, la riflessione dei teologi sono stati il terreno in cui esso  è germogliato e cresciuto. Il Sinodo 2021-2024 continua ad attingere all’energia di quel seme e a  svilupparne le potenzialità. Il cammino sinodale sta infatti mettendo in atto ciò che il Concilio ha  insegnato sulla Chiesa come Mistero e Popolo di Dio, chiamato alla santità attraverso una continua  conversione che viene dall’ascolto del Vangelo. In questo senso costituisce un vero atto di ulteriore  recezione del Concilio, ne prolunga l’ispirazione e ne rilancia per il mondo di oggi la forza profetica. 

6. Non ci nascondiamo di aver sperimentato in noi fatiche, resistenze al cambiamento e la  tentazione di far prevalere le nostre idee sull’ascolto della Parola di Dio e sulla pratica del  discernimento. Eppure, la misericordia di Dio, Padre tenerissimo, ci consente ogni volta di purificare  i cuori e di proseguire il cammino. Lo abbiamo riconosciuto iniziando la Seconda Sessione con una  Veglia penitenziale, in cui abbiamo chiesto perdono dei nostri peccati, provandone vergogna, e  innalzato la nostra intercessione per le vittime dei mali del mondo. Abbiamo chiamato per nome i  nostri peccati: contro la pace, contro la creazione, i popoli indigeni, i migranti, i minori, le donne, i  poveri, l’ascolto, la comunione. Questo ci ha fatto comprendere che la sinodalità esige pentimento e  conversione. Nella celebrazione del sacramento della misericordia di Dio facciamo l’esperienza di  essere incondizionatamente amati: la durezza dei cuori è vinta e ci si apre alla comunione. Per questo  vogliamo essere una Chiesa misericordiosa, capace di condividere con tutti il perdono e la  riconciliazione che vengono da Dio: pura grazia di cui non siamo padroni, ma solo testimoni. 

7. Del percorso sinodale iniziato nel 2021 abbiamo già potuto constatare i primi frutti. Quelli  più semplici, ma più preziosi, fermentano nella vita delle famiglie, delle Parrocchie, delle  Associazioni e Movimenti, delle piccole comunità cristiane, delle scuole e delle comunità religiose  in cui sta crescendo la pratica della conversazione nello Spirito, del discernimento comunitario, della  condivisione dei doni vocazionali e della corresponsabilità nella missione. L’incontro dei Parroci per  il Sinodo (Sacrofano [Roma], 28 aprile – 2 maggio 2024) ha consentito di apprezzare queste ricche  esperienze e di rilanciarne il cammino. Siamo grati e lieti per la voce di tante comunità e Fedeli che  vivono la Chiesa come luogo di accoglienza, speranza e gioia. 

8. La Prima Sessione dell’Assemblea ha portato altri frutti. Nella Relazione di Sintesi è stata  richiamata l’attenzione su alcune tematiche di grande rilevanza per la vita della Chiesa, che il Santo  Padre, al termine di una consultazione internazionale, ha affidato a Gruppi di studio costituiti da  Pastori ed esperti di tutti i continenti, chiamati a lavorare con metodo sinodale. Gli ambiti della vita  e della missione della Chiesa che essi hanno già iniziato ad approfondire sono i seguenti: 

1. Alcuni aspetti delle relazioni tra Chiese Orientali Cattoliche e Chiesa latina. 2. L’ascolto del grido dei poveri. 

3. La missione nell’ambiente digitale.  

4. La revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis in prospettiva  sinodale missionaria.

5. Alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme ministeriali. 6. La revisione, in prospettiva sinodale e missionaria, dei documenti che disciplinano le  relazioni fra Vescovi, Religiosi, Aggregazioni ecclesiali. 

7. Alcuni aspetti della figura e del ministero del Vescovo (in particolare: criteri di selezione  dei candidati all’episcopato, funzione giudiziale del Vescovo, natura e svolgimento  delle visite ad limina Apostolorum) in prospettiva sinodale missionaria. 

8. Il ruolo dei Rappresentanti pontifici in prospettiva sinodale missionaria.  9. Criteri teologici e metodologie sinodali per un discernimento condiviso di questioni  dottrinali, pastorali ed etiche controverse.  

10. La recezione dei frutti del cammino ecumenico nel Popolo di Dio. 

A questi Gruppi si aggiunge la Commissione Canonistica, attivata d’intesa con il Dicastero per i Testi  Legislativi, a servizio delle innovazioni necessarie nella normativa ecclesiastica, e il discernimento  affidato al Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar intorno  all’accompagnamento pastorale di persone in situazione di matrimonio poligamico. Il lavoro di questi  Gruppi e Commissioni ha avviato la fase attuativa, ha arricchito il lavoro della Seconda Sessione, e  aiuterà il Santo Padre nelle scelte pastorali e di governo.  

9. Il processo sinodale non si conclude con il termine dell’attuale Assemblea del Sinodo dei  Vescovi, ma comprende la fase attuativa. Come membri dell’Assemblea, sentiamo come nostro  compito impegnarci nella sua animazione come missionari della sinodalità all’interno delle comunità  da cui proveniamo. A tutte le Chiese locali chiediamo di proseguire il loro quotidiano cammino con 

una metodologia sinodale di consultazione e discernimento, individuando modalità concrete e  percorsi formativi per realizzare una tangibile conversione sinodale nelle varie realtà ecclesiali  (Parrocchie, Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica, Aggregazioni di Fedeli, Diocesi,  Conferenze Episcopali, raggruppamenti di Chiese, ecc.). Andrà anche prevista una valutazione dei  progressi compiuti in termini di sinodalità e di partecipazione di tutti i battezzati alla vita della Chiesa. 

Alle Conferenze episcopali e ai Sinodi delle Chiese sui iuris suggeriamo di dedicare persone e risorse  per accompagnare il percorso di crescita come Chiesa sinodale in missione e per mantenere i contatti  con la Segreteria Generale del Sinodo (cfr. EC 19 §§ 1 e 2). Ad essa chiediamo di continuare a vigilare  sulla qualità sinodale del metodo di lavoro dei Gruppi di Studio.  

10. Offerto al Santo Padre e alle Chiese come frutto della XVI Assemblea Generale del Sinodo  dei Vescovi, questo Documento Finale fa tesoro di tutti i passi fin qui compiuti. Raccoglie alcune  importanti convergenze emerse nella Prima Sessione, i contributi provenienti dalle Chiese nei mesi  tra la Prima e la Seconda Sessione e ciò che è maturato, soprattutto grazie alla conversazione nello  Spirito, durante la Seconda Sessione.  

11. Il Documento Finale esprime la consapevolezza che la chiamata alla missione è  contemporaneamente la chiamata alla conversione di ogni Chiesa particolare e della Chiesa tutta,  nella prospettiva indicata nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium (cfr. n. 30). Le parti del  testo sono cinque. La prima, intitolata Il cuore della sinodalità, delinea i fondamenti teologici e  spirituali che illuminano e alimentano ciò che viene in seguito. Ripropone la comprensione condivisa  della sinodalità emersa nella Prima Sessione e ne sviluppa le prospettive spirituali e profetiche. La  conversione dei sentimenti, delle immagini e dei pensieri che abitano il nostro cuore procede assieme  alla conversione dell’azione pastorale e missionaria. La seconda parte, dal titolo Insieme, sulla barca, è dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla  missione nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri. La terza, «Gettate la rete», identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale, processi decisionali, cultura della  trasparenza, del rendiconto e della valutazione. Anche rispetto ad esse ci è chiesto di avviare percorsi  di “trasformazione missionaria”, per la quale è urgente un rinnovamento degli organismi di  partecipazione. La quarta parte, sotto il titolo Una pesca abbondante, delinea il modo in cui è  possibile coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella  Chiesa, in un tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiano profondamente.  Segue una quinta parte, «Anch’io mando voi», che permette di guardare al primo passo da compiere:  curare la formazione di tutti, nel Popolo di Dio, alla sinodalità missionaria. 

12. Lo sviluppo del Documento Finale è guidato dai racconti evangelici della Risurrezione. La  corsa al sepolcro nell’alba di Pasqua, l’apparizione del Risorto nel cenacolo e sulla riva del lago hanno  ispirato il nostro discernimento e nutrito il nostro dialogo. Abbiamo invocato il dono pasquale dello  Spirito Santo, chiedendo a Lui di insegnarci ciò che dobbiamo fare e mostrarci il cammino da seguire  tutti insieme. Con questo documento l’Assemblea riconosce e testimonia che la sinodalità,  dimensione costitutiva della Chiesa, è già parte dell’esperienza di tante nostre comunità. Allo stesso  tempo, suggerisce strade da percorrere, pratiche da attuare, orizzonti da esplorare. Il Santo Padre, che  ha convocato la Chiesa in Sinodo, dirà alle Chiese, affidate alla cura pastorale dei Vescovi, come  proseguire il nostro cammino sorretti dalla speranza che «non delude» (Rm 5,5). 

Parte I – Il cuore della sinodalità 

Chiamati dallo Spirito Santo alla conversione 

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino,  quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse  allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava (Gv  20,1-2). 

13. Al mattino di Pasqua troviamo tre discepoli: Maria di Magdala, Simon Pietro, il Discepolo  che Gesù amava. Ognuno di loro cerca il Signore a modo suo; ognuno ha il proprio ruolo nell’alba  della speranza. Maria Maddalena è spinta da un amore che la conduce per prima al sepolcro. Avvisati  da lei, Pietro e il Discepolo Amato si dirigono al sepolcro; il Discepolo Amato corre con la forza della  giovinezza, cerca con lo sguardo di chi intuisce per primo, ma sa cedere il passo a chi, più anziano,  ha ricevuto il compito di guida; Pietro, appesantito dall’aver rinnegato il Signore, è atteso  all’appuntamento con la misericordia di cui sarà ministro nella Chiesa. Maria resta nel giardino, si  sente chiamare per nome, riconosce il Signore che la invia ad annunciare la Sua resurrezione alla  comunità dei discepoli. Per questo la Chiesa la riconosce come Apostola degli Apostoli. La loro  dipendenza reciproca incarna il cuore della sinodalità. 

14. La Chiesa esiste per testimoniare al mondo l’evento decisivo della storia: la risurrezione di  Gesù. Il Risorto porta al mondo la pace e ci fa dono del Suo Spirito. Il Cristo vivente è la sorgente  della vera libertà, il fondamento della speranza che non delude, la rivelazione del vero volto di Dio e  del destino ultimo dell’uomo. I Vangeli ci raccontano che per entrare nella fede pasquale e divenirne  testimoni è necessario riconoscere il proprio vuoto interiore, il buio della paura, del dubbio, del peccato. Ma coloro che nell’oscurità hanno il coraggio di uscire e mettersi in ricerca, scoprono in  realtà di essere cercati, chiamato per nome, perdonati e inviati insieme ai fratelli e sorelle. 

La Chiesa Popolo di Dio, sacramento di unità 

15. Dal Battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo scaturisce l’identità del  Popolo di Dio. Essa si attua come chiamata alla santità e invio in missione per invitare tutti i popoli  ad accogliere il dono della salvezza (cfr. Mt 28,18-19). È dunque dal Battesimo, in cui Cristo ci riveste  di Sé (cfr. Gal 3,27) e ci fa rinascere dallo Spirito (cfr. Gv 3,5-6) come figli di Dio, che nasce la  Chiesa sinodale missionaria. Tutta la vita cristiana ha la sua sorgente e il suo orizzonte nel mistero 

della Trinità, che suscita in noi il dinamismo della fede, della speranza e della carità. 

16. «È piaciuto a Dio di santificare e salvare gli uomini non separatamente e senza alcun legame  fra di loro, ma ha voluto costituirli in un Popolo che lo riconoscesse nella verità e lo servisse nella  santità» (LG 9). Il Popolo di Dio in cammino verso il Regno è continuamente alimentato  dall’Eucaristia, sorgente di comunione e di unità: «Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti,  un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1Cor 10,17). La Chiesa, nutrita dal  sacramento del Corpo del Signore, è costituita come Suo Corpo (cfr. LG 7): «voi siete Corpo di Cristo  e, ognuno secondo la propria parte, sue membra» (1Cor 12,27). Vivificata dalla grazia, essa è Tempio  dello Spirito Santo (cfr. LG 4): è Lui, infatti, che la anima e la edifica, facendo di tutti noi le pietre  vive di un edificio spirituale (cfr. 1Pt 2,5; LG 6).  

17. Il processo sinodale ci ha fatto provare il «gusto spirituale» (EG 268) di essere Popolo di  Dio, riunito da ogni tribù, lingua, popolo e nazione, che vive in contesti e culture diverse. Esso non è  mai la semplice somma dei Battezzati, ma il soggetto comunitario e storico della sinodalità e della  missione, ancora pellegrinante nel tempo e già in comunione con la Chiesa del cielo. Nei diversi  contesti nei quali le singole Chiese sono radicate, il Popolo di Dio annuncia e testimonia la Buona  Notizia della salvezza; vivendo nel mondo e per il mondo, cammina insieme a tutti i popoli della  terra, dialoga con le loro religioni e le loro culture riconoscendo in esse i semi del Verbo, avanzando  verso il Regno. Incorporati in questo Popolo per la fede e il Battesimo, siamo sostenuti e  accompagnati dalla Vergine Maria, «segno di sicura speranza e di consolazione» (LG 68), dagli  Apostoli, da coloro che hanno testimoniato la loro fede fino a dare la vita, dai santi di ogni tempo e  di ogni luogo. 

18. Nel Popolo santo di Dio, che è la Chiesa, la comunione dei Fedeli (communio Fidelium) è  al tempo stesso la comunione delle Chiese (communio Ecclesiarum), che si manifesta nella  comunione dei Vescovi (communio Episcoporum), in ragione del principio antichissimo che «la  Chiesa è nel Vescovo e il Vescovo è nella Chiesa» (S. Cipriano, Epistola 66, 8). Al servizio di questa  multiforme comunione il Signore ha posto l’apostolo Pietro (cfr. Mt 16,18) e i suoi successori. In  forza del ministero petrino, il Vescovo di Roma è «il perpetuo e visibile principio e il fondamento»  (LG 23) dell’unità della Chiesa.  

19. «Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri» (EG 197), gli emarginati e gli  esclusi, e perciò anche in quello della Chiesa. In loro la comunità cristiana incontra il volto e la carne  di Cristo, che, da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo  della sua povertà (cfr. 2Cor 8,9). L’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede  cristologica. I poveri hanno una conoscenza diretta del Cristo sofferente (cfr. EG 198) che li rende  annunciatori di una salvezza ricevuta in dono e testimoni della gioia del Vangelo. La Chiesa è 

chiamata a essere povera con i poveri, che sono spesso la maggioranza dei Fedeli e ad ascoltarli,  imparando insieme a riconoscere i carismi che essi ricevono dallo Spirito, e a considerarli soggetti  dell’evangelizzazione. 

20. «La luce delle genti è Cristo» (LG 1) e questa luce risplende sul volto della Chiesa, pur  segnata dalla fragilità della condizione umana e dalla opacità del peccato. Essa riceve da Cristo il  dono e la responsabilità di essere il lievito efficace dei legami, delle relazioni e della fraternità della  famiglia umana (cfr. AG 2-4), testimoniando nel mondo il senso e la meta del suo cammino (cfr. GS 

3 e 42). Assume oggi questa responsabilità in un tempo dominato dalla crisi della partecipazione – cioè del sentirsi parte e attori di un destino comune – e da una concezione individualista della felicità  e della salvezza. La sua vocazione e il suo servizio profetico (cfr. LG 12) consistono nel testimoniare  il progetto di Dio di unire a sé tutta l’umanità nella libertà e nella comunione. La Chiesa, che è «il  Regno di Cristo già misteriosamente presente» (LG 3) e «di questo Regno costituisce sulla terra il  germe e l’inizio» (LG 5), cammina perciò insieme a tutta l’umanità, impegnandosi con tutte le sue  forze per la dignità umana, il bene comune, la giustizia e la pace, e «anela al Regno perfetto» (LG 5),  quando Dio sarà «tutto in tutti» (1Cor 15,28).  

Le radici sacramentali del Popolo di Dio 

21. Il cammino sinodale della Chiesa ci ha condotti a riscoprire che la varietà delle vocazioni,  dei carismi e dei ministeri ha una radice: «noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in  un solo corpo» (1Cor 12,13). Il Battesimo è il fondamento della vita cristiana perché introduce tutti  nel dono più grande: essere figli di Dio, cioè partecipi della relazione di Gesù al Padre nello Spirito.  Nulla vi è di più alto di questa dignità, ugualmente donata a ogni persona, che ci fa rivestire di Cristo  ed essere innestati in Lui come tralci nella vite. Nel nome di “cristiano” che abbiamo l’onore di portare  è racchiusa la grazia che è alla base della nostra vita e che ci fa camminare insieme come fratelli e  sorelle.  

22. In forza del Battesimo «il Popolo santo di Dio partecipa pure della funzione profetica di  Cristo, dando viva testimonianza di Lui anzitutto con una vita di fede e di carità» (LG 12). Grazie  all’unzione dello Spirito Santo ricevuta nel Battesimo (cfr. 1Gv 2,20.27), tutti i credenti possiedono  un istinto per la verità del Vangelo, chiamato sensus fidei. Esso consiste in una certa connaturalità  con le realtà divine, fondata sul fatto che nello Spirito Santo i Battezzati «sono resi partecipi della  natura divina» (DV 2). Da questa partecipazione deriva l’attitudine a cogliere intuitivamente ciò che  è conforme alla verità della Rivelazione nella comunione della Chiesa. Per questo la Chiesa ha la  certezza che il Popolo santo di Dio non può sbagliarsi nel credere, quando la totalità dei Battezzati  esprime il suo universale consenso in materia di fede e di morale (cfr. LG 12). L’esercizio del sensus  fidei non si confonde con l’opinione pubblica. Esso è sempre congiunto al discernimento dei Pastori  ai diversi livelli della vita ecclesiale, come mostra l’articolazione delle fasi del processo sinodale.  Esso punta a raggiungere quel consenso dei Fedeli (consensus fidelium) che costituisce «un criterio  sicuro per determinare se una particolare dottrina o una prassi particolare appartengono alla fede  apostolica» (Commissione Teologica Internazionale, Il sensus fidei nella vita della Chiesa, 2014, n.  3). 

23. Attraverso il Battesimo tutti i Cristiani partecipano al sensus fidei. Perciò esso, oltre che  principio della sinodalità, costituisce anche il fondamento dell’ecumenismo. «Il cammino della  sinodalità, che la Chiesa Cattolica sta percorrendo, è e deve essere ecumenico, così come il cammino  ecumenico è sinodale» (Papa Francesco, Discorso a Sua Santità Mar Awa III, 19 novembre 2022). 

L’ecumenismo è anzitutto una questione di rinnovamento spirituale. Esige processi di pentimento e  di guarigione della memoria delle ferite passate, fino al coraggio della correzione fraterna in spirito  di carità evangelica. Nell’Assemblea sono risuonate testimonianze illuminanti di Cristiani di diverse  tradizioni ecclesiali che condividono l’amicizia, la preghiera, la condivisione di vita e l’impegno per  il servizio dei poveri e la cura della casa comune. In non poche regioni del mondo c’è soprattutto  l’ecumenismo del sangue: Cristiani di appartenenze diverse che insieme danno la vita per la fede in  Gesù Cristo. La testimonianza del loro martirio è più eloquente di ogni parola: l’unità viene dalla  Croce del Signore.  

24. Non è possibile comprendere pienamente il Battesimo se non all’interno dell’Iniziazione  Cristiana, ossia dell’itinerario attraverso cui il Signore, mediante il ministero della Chiesa e il dono  dello Spirito, ci introduce nella fede pasquale e ci inserisce nella comunione trinitaria ed ecclesiale.  Tale itinerario conosce una significativa varietà di forme a seconda dell’età in cui viene intrapreso,  delle diverse accentuazioni proprie delle tradizioni orientali e di quella occidentale, e delle specificità 

di ciascuna Chiesa locale. L’iniziazione pone a contatto con una grande varietà di vocazioni e di  ministeri ecclesiali. In essi si esprime il volto misericordioso di una Chiesa che insegna ai suoi figli a  camminare camminando con loro. Li ascolta e, mentre risponde ai loro dubbi e alle loro domande, si  arricchisce della novità che ogni persona porta in sé, con la sua storia e la sua cultura. Nella pratica  di questa azione pastorale la comunità cristiana sperimenta, spesso senza averne piena  consapevolezza, la prima forma di sinodalità. 

25. All’interno dell’itinerario dell’Iniziazione Cristiana il sacramento della Confermazione  arricchisce la vita dei credenti con una particolare effusione dello Spirito in vista della testimonianza.  Lo Spirito di cui Gesù era ricolmo (cfr. Lc 4,1), che lo ha consacrato con l’unzione e inviato a  proclamare il Vangelo (cfr. Lc 4,18) è lo stesso Spirito che viene riversato sui credenti come sigillo  dell’appartenenza a Dio e come unzione che santifica. Per questo la Confermazione, che rende attuale  nella vita del Battezzato e della comunità la grazia della Pentecoste, è un dono di grande valore per  rinnovare il prodigio di una Chiesa mossa dal fuoco della missione, che abbia il coraggio di uscire  per le vie del mondo e la capacità di farsi comprendere da tutti i popoli e tutte le culture. Tutti i  credenti sono chiamati a contribuire a questo slancio, accogliendo i carismi che lo Spirito distribuisce  con abbondanza a ciascuno e impegnandosi a metterli al servizio del Regno con umiltà e  intraprendenza creativa.  

26. La celebrazione dell’Eucaristia, soprattutto alla domenica, è la prima e fondamentale forma  con cui il Santo Popolo di Dio si riunisce e si incontra. Nella celebrazione eucaristica «l’unità della  Chiesa viene sia significata sia prodotta» (UR 2). Nella «piena, consapevole e attiva partecipazione»  (SC 14) di tutti i Fedeli, nella presenza di diversi ministeri e nella presidenza da parte del Vescovo o  del Presbitero, si rende visibile la comunità cristiana, nella quale si realizza una corresponsabilità  differenziata di tutti per la missione. Per questo la Chiesa, Corpo di Cristo, impara dall’Eucaristia ad  articolare unità e pluralità: unità della Chiesa e molteplicità delle assemblee eucaristiche; unità del  mistero sacramentale e varietà delle tradizioni liturgiche; unità della celebrazione e diversità delle  vocazioni, dei carismi e dei ministeri. Nulla più dell’Eucaristia mostra che l’armonia creata dallo  Spirito non è uniformità e che ogni dono ecclesiale è destinato all’edificazione comune. Ogni  celebrazione dell’Eucaristia è anche espressione del desiderio e appello all’unità di tutti i Battezzati  che non è ancora piena e visibile. Dove la celebrazione domenicale dell’Eucaristia non è possibile, la  comunità, pur desiderandola, si raccoglie intorno alla celebrazione della Parola, dove Cristo è  comunque presente.

27. Esiste uno stretto legame tra synaxis e synodos, tra l’assemblea eucaristica e quella sinodale.  Pur in forma diversa, in entrambe si realizza la promessa di Gesù di essere presente dove due o tre  sono riuniti nel Suo nome (cfr. Mt 18,20). Le assemblee sinodali sono eventi che celebrano l’unione  di Cristo con la Sua Chiesa attraverso l’azione dello Spirito. È Lui che assicura l’unità del Corpo  ecclesiale di Cristo nell’assemblea eucaristica come in quella sinodale. La liturgia è un ascolto della  Parola di Dio e una risposta alla sua iniziativa di alleanza. Anche l’assemblea sinodale è un ascolto  della medesima Parola, che risuona tanto nei segni dei tempi quanto nel cuore dei Fedeli, e una  risposta dell’assemblea che discerne la volontà di Dio per metterla in pratica. L’approfondimento del  legame tra liturgia e sinodalità aiuterà tutte le comunità cristiane, nella pluriformità delle loro culture  e tradizioni, ad assumere stili celebrativi che manifestino il volto di una Chiesa sinodale. A questo  scopo, chiediamo l’istituzione di uno specifico Gruppo di Studio, a cui affidare anche la riflessione  su come rendere le celebrazioni liturgiche più espressive della sinodalità; si potrà inoltre occupare  della predicazione all’interno delle celebrazioni liturgiche e dello sviluppo di una catechesi sulla  sinodalità in chiave mistagogica. 

28. I termini “sinodalità” e “sinodale” derivano dall’antica e costante pratica ecclesiale del  radunarsi in sinodo. Nelle tradizioni delle Chiese d’Oriente e d’Occidente la parola “sinodo” si  riferisce a istituzioni ed eventi che nel tempo hanno assunto forme diverse, coinvolgendo una pluralità  di soggetti. Nella loro varietà tutte queste forme sono accomunate dal radunarsi insieme per dialogare,  discernere e decidere. Grazie all’esperienza degli ultimi anni, il significato di questi termini è stato  maggiormente compreso e più ancora vissuto. Sempre più essi sono stati associati al desiderio di una  Chiesa più vicina alle persone e più relazionale, che sia casa e famiglia di Dio. Nel corso del processo  sinodale è maturata una convergenza sul significato di sinodalità che sta alla base di questo  Documento: la sinodalità è il camminare insieme dei Cristiani con Cristo e verso il Regno di Dio, in  unione a tutta l’umanità; orientata alla missione, essa comporta il riunirsi in assemblea ai diversi  livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, il formarsi  del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una  decisione in una corresponsabilità differenziata. In questa linea comprendiamo meglio che cosa  significa che la sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa (cfr. CTI, n. 1). In termini semplici e  sintetici, si può dire che la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale  per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, per renderla cioè più capace di camminare con  ogni uomo e ogni donna irradiando la luce di Cristo. 

29. Nella Vergine Maria, Madre di Cristo, della Chiesa e dell’umanità, vediamo risplendere in  piena luce i tratti di una Chiesa sinodale, missionaria e misericordiosa. Essa è infatti la figura della  Chiesa che ascolta, prega, medita, dialoga, accompagna, discerne, decide e agisce. Da lei impariamo  l’arte dell’ascolto, l’attenzione alla volontà di Dio, l’obbedienza alla Sua Parola, la capacità di  cogliere il bisogno dei poveri, il coraggio di mettersi in cammino, l’amore che aiuta, il canto di lode  e l’esultanza nello Spirito. Per questo, come affermava san Paolo VI, «l’azione della Chiesa nel  mondo è come un prolungamento della sollecitudine di Maria» (MC 28). 

30. In modo più dettagliato, la sinodalità designa tre aspetti distinti della vita della Chiesa: 

a) in primo luogo, si riferisce allo «stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa,  esprimendone la natura come il camminare insieme e il riunirsi in assemblea del Popolo di Dio  convocato dal Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo. Essa deve esprimersi nel modo ordinario di vivere e operare della Chiesa. Tale modus vivendi et  operandi si realizza attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione  dell’Eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il  Popolo di Dio, ai suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua vita e  alla sua missione» (CTI, n. 70a); 

b) in secondo luogo, «la sinodalità designa poi, in senso più specifico e determinato dal punto di  vista teologico e canonico, quelle strutture e quei processi ecclesiali in cui la natura sinodale  della Chiesa si esprime a livello istituzionale, in modo analogo, sui vari livelli della sua  realizzazione: locale, regionale, universale. Tali strutture e processi sono a servizio del  discernimento autorevole della Chiesa, chiamata a individuare la direzione da seguire in ascolto  dello Spirito Santo» (CTI, n. 70b);  

c) in terzo luogo, la sinodalità designa «l’accadere puntuale di quegli eventi sinodali in cui la  Chiesa è convocata dall’autorità competente e secondo specifiche procedure determinate dalla  disciplina ecclesiastica, coinvolgendo in modi diversi, sul livello locale, regionale e universale,  tutto il Popolo di Dio sotto la presidenza dei Vescovi in comunione collegiale e gerarchica con  il Vescovo di Roma, per il discernimento del suo cammino e di particolari questioni, e per  l’assunzione di decisioni e orientamenti al fine di adempiere alla sua missione evangelizzatrice»  (CTI, n. 70c). 

31. Nel contesto dell’ecclesiologia conciliare del Popolo di Dio, il concetto di comunione  esprime la sostanza profonda del mistero e della missione della Chiesa, che ha nella celebrazione  dell’Eucaristia la sua fonte e il suo culmine, ossia l’unione con Dio Trinità e l’unità tra le persone  umane che si realizza in Cristo mediante lo Spirito Santo. Su questo sfondo, la sinodalità «indica lo  specifico modo di vivere e operare della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il  suo essere comunione nel “camminare insieme”, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare  attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice» (CTI, n. 6). 

32. La sinodalità non è fine a sé stessa, ma mira alla missione che Cristo ha affidato alla Chiesa  nello Spirito. Evangelizzare è «la missione essenziale della Chiesa […] è la grazia e la vocazione  propria della Chiesa, la sua identità profonda» (EN 14). Facendosi prossima a tutti, senza differenza  di persone, predicando e insegnando, battezzando, celebrando l’Eucaristia e il sacramento della  Riconciliazione, tutte le Chiese locali e la Chiesa intera rispondono concretamente al comando del  Signore di annunciare il Vangelo a tutte le nazioni (cfr. Mt 28,19-20; Mc 16,15-16). Valorizzando  tutti i carismi e i ministeri, la sinodalità consente al Popolo di Dio di annunciare e testimoniare il  Vangelo alle donne e agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, facendosi «sacramento visibile» (LG  9) della fraternità e dell’unità in Cristo voluta da Dio. Sinodalità e missione sono intimamente  congiunte: la missione illumina la sinodalità e la sinodalità spinge alla missione. 

33. L’autorità dei Pastori «è un dono specifico dello Spirito di Cristo Capo per l’edificazione  dell’intero Corpo» (CTI, n. 67). Tale dono è legato al sacramento dell’Ordine che configura a Cristo  Capo, Pastore e Servo e pone quanti lo ricevono a servizio del Santo Popolo di Dio per custodire  l’apostolicità dell’annuncio e promuovere a tutti i livelli la comunione ecclesiale. La sinodalità offre  «la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico» (Francesco,  Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17  ottobre 2015) e colloca nella giusta prospettiva il mandato che Cristo affida, nello Spirito Santo, ai Pastori. Essa, dunque, invita tutta la Chiesa, compresi quanti esercitano un’autorità, alla conversione  e alla riforma. 

L’unità come armonia  

34. «La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali.  Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che  l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali  relazioni diventa quindi fondamentale» (CV 53). Una Chiesa sinodale si caratterizza come spazio in  cui le relazioni possono fiorire, grazie all’amore reciproco che costituisce il comandamento nuovo  lasciato da Gesù ai Suoi discepoli (cfr. Gv 13,34-35). All’interno di culture e società sempre più  individualiste, la Chiesa, «popolo radunato nell’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»  (LG 4), può dare testimonianza della forza di relazioni fondate nella Trinità. Le differenze di  vocazione, età, sesso, professione, condizione e appartenenza sociale, presenti in ogni comunità  cristiana, offrono a ciascuno quell’incontro con l’alterità indispensabile per la maturazione personale.  

35. È innanzi tutto all’interno della famiglia, che con il Concilio si potrebbe chiamare «Chiesa  domestica» (LG 11), che si vive la ricchezza dei rapporti tra persone unite nella loro diversità di  carattere, età e ruolo. Per questo le famiglie rappresentano un luogo privilegiato per apprendere e  sperimentare le pratiche essenziali di una Chiesa sinodale. Nonostante le fratture e le sofferenze che  le famiglie sperimentano, restano luoghi in cui si apprende a scambiarsi il dono dell’amore, della  fiducia, del perdono, della riconciliazione e della comprensione. È in famiglia che impariamo che  abbiamo la stessa dignità, che siamo creati per la reciprocità, che abbiamo bisogno di essere ascoltati  e che siamo capaci di ascoltare, di discernere e decidere insieme, di accettare ed esercitare un’autorità  animata dalla carità, di essere corresponsabili e di rendere conto delle nostre azioni. «La famiglia  umanizza le persone attraverso la relazione del “noi” e allo stesso tempo promuove le legittime  differenze di ciascuno» (Francesco, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia  Accademia delle Scienze Sociali, 29 aprile 2022).  

36. Il processo sinodale ha evidenziato che lo Spirito Santo costantemente suscita nel Popolo  di Dio una grande varietà di carismi e ministeri. «Anche nell’edificazione del Corpo di Cristo vige  una varietà di membra e di funzioni. Uno solo è lo Spirito che distribuisce i Suoi vari doni per l’utilità  il bene della Chiesa, a misura della sua ricchezza e delle necessità dei ministeri (cfr. 1Cor 12,11)»  (LG 7). Ugualmente è emersa l’aspirazione ad ampliare le possibilità di partecipazione e di esercizio  della corresponsabilità differenziata di tutti i Battezzati, uomini e donne. A tale riguardo, però, è stata  espressa la tristezza provocata dalla mancata partecipazione di tanti membri del Popolo di Dio a  questo cammino di rinnovamento ecclesiale e da una fatica diffusa nel vivere pienamente una sana  relazionalità tra uomini e donne, tra generazioni e tra persone e gruppi di diverse identità culturali e  condizioni sociali, in particolare i poveri e gli esclusi.  

37. Inoltre, il processo sinodale ha messo in evidenza il patrimonio spirituale delle Chiese locali,  nelle quali e dalle quali esiste la Chiesa Cattolica, e la necessità di articolare le loro esperienze. In  virtù della cattolicità, «le singole parti offrono i propri doni alle altre e alla Chiesa intera, così che il  tutto e le singole parti traggano vantaggio dalla reciproca comunicazione di tutti e dal tendere in unità  verso la pienezza» (LG 13). Il ministero del successore di Pietro «garantisce le legittime diversità e  insieme vigila perché il particolare non solo non nuoccia all’unità, ma anzi ne sia al servizio» (ibid.;  cfr. AG 22). 

38. La Chiesa intera è da sempre una pluralità di popoli e lingue, di Chiese con i loro particolari  riti, discipline e patrimoni teologici e spirituali, di vocazioni, carismi e ministeri a servizio dell’utilità  comune. L’unità di questa varietà è realizzata da Cristo, pietra angolare, e dallo Spirito, maestro di  armonia. Questa unità nella diversità è precisamente designata dalla cattolicità della Chiesa. Di essa  è segno la pluralità di Chiese sui iuris, di cui il processo sinodale ha evidenziato la ricchezza.  L’Assemblea chiede che si prosegua lungo la strada dell’incontro, della reciproca comprensione e  dello scambio di doni che nutrono la comunione di una Chiesa di Chiese.  

39. Il rinnovamento sinodale favorisce la valorizzazione dei contesti come luogo in cui si rende  presente e si realizza l’universale chiamata di Dio a far parte del Suo Popolo, di quel Regno di Dio  che è «giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). In questo modo, culture diverse sono  in grado di cogliere l’unità che sottende la loro pluralità e le apre alla prospettiva dello scambio di  doni. «L’unità della Chiesa non è l’uniformità, ma l’integrazione organica delle legittime diversità»  (NMI 46). La varietà delle espressioni del messaggio salvifico evita di ridurlo a un’unica  comprensione della vita della Chiesa e delle forme teologiche, liturgiche, pastorali e disciplinari in  cui si esprime.  

40. La valorizzazione dei contesti, delle culture e delle diversità, e delle relazioni tra di loro, è  una chiave per crescere come Chiesa sinodale missionaria e camminare, per impulso dello Spirito  Santo, verso l’unità visibile dei Cristiani. Ribadiamo l’impegno della Chiesa Cattolica a proseguire e  intensificare il cammino ecumenico con altri cristiani, in forza del comune Battesimo e in risposta  alla chiamata a vivere insieme la comunione e l’unità tra i discepoli per cui Cristo prega nell’Ultima  Cena (cfr. Gv 17,20-26). L’Assemblea saluta con gioia e gratitudine i progressi nelle relazioni  ecumeniche lungo gli ultimi sessant’anni, i documenti di dialogo e le dichiarazioni che esprimono la  fede comune. La partecipazione dei Delegati Fraterni ha arricchito lo svolgimento dell’Assemblea e  guardiamo con speranza ai prossimi passi del cammino verso la piena comunione grazie alla  recezione dei frutti del cammino ecumenico nelle pratiche ecclesiali. 

41. In ogni luogo della terra, i Cristiani vivono fianco a fianco con persone che non sono  battezzate e servono Dio praticando una diversa religione. Per loro preghiamo in modo solenne nella  liturgia del Venerdì Santo, con loro collaboriamo e lottiamo per costruire un mondo migliore, e  insieme a loro supplichiamo l’unico Dio di liberare il mondo dai mali che lo affliggono. Il dialogo,  l’incontro e lo scambio di doni tipici di una Chiesa sinodale sono chiamati ad aprirsi alle relazioni  con altre tradizioni religiose, con l’obiettivo di «stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori  ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore» (Conferenza dei Vescovi Cattolici  dell’India, Response of the Church in India to the present day challenges, 9 marzo 2016, citato in FT  271). In alcune regioni, i Cristiani che si impegnano nella costruzione di rapporti fraterni con persone  di altre religioni subiscono persecuzioni. L’Assemblea li incoraggia a perseverare nel loro impegno  con speranza. 

42. La pluralità delle religioni e delle culture, la multiformità delle tradizioni spirituali e  teologiche, la varietà dei doni dello Spirito e dei compiti nella comunità, così come le diversità di età,  sesso e appartenenze sociali all’interno della Chiesa sono un invito a ciascuno a riconoscere e  assumere la propria parzialità, rinunciando alla pretesa di mettersi al centro e aprendosi  all’accoglienza di altre prospettive. Ciascuno è portatore di un contributo peculiare e indispensabile  per completare l’opera comune. La Chiesa sinodale può essere descritta ricorrendo all’immagine  dell’orchestra: la varietà degli strumenti è necessaria per dare vita alla bellezza e all’armonia della  musica, al cui interno la voce di ciascuno mantiene i propri tratti distintivi a servizio della missione comune. Si manifesta così l’armonia che lo Spirito opera nella Chiesa, lui che è l’armonia in persona  (cfr. S. Basilio, Sul Salmo 29,1; Sullo Spirito Santo XVI, 38). 

La spiritualità sinodale 

43. La sinodalità è innanzi tutto una disposizione spirituale che permea la vita quotidiana dei  Battezzati e ogni aspetto della missione della Chiesa. Una spiritualità sinodale scaturisce dall’azione  dello Spirito Santo e richiede l’ascolto della Parola di Dio, la contemplazione, il silenzio e la  conversione del cuore. Come ha affermato Papa Francesco nell’Intervento di apertura di questa  Seconda Sessione, «lo Spirito Santo è guida sicura, e nostro primo compito è imparare a distinguere  la Sua voce, perché Egli parla in tutti e in tutte le cose». Una spiritualità sinodale esige anche ascesi,  umiltà, pazienza e disponibilità a perdonare ed essere perdonati. Accoglie con gratitudine e umiltà la  varietà dei doni e dei compiti distribuiti dallo Spirito Santo per il servizio dell’unico Signore (cfr.  1Cor 12,4-5). Lo fa senza ambizione o invidia, né desiderio di dominio o di controllo, coltivando gli  stessi sentimenti di Cristo Gesù, che «svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,7).  Ne riconosciamo il frutto quando la vita quotidiana della Chiesa è contrassegnata da unità e armonia  nella pluriformità. Nessuno può procedere da solo su un cammino di autentica spiritualità. Abbiamo  bisogno di accompagnamento e sostegno, compresa la formazione e la direzione spirituale, come  singoli e come comunità.  

44. Il rinnovamento della comunità cristiana è possibile solo riconoscendo il primato della  grazia. Se manca la profondità spirituale personale e comunitaria, la sinodalità si riduce a espediente  organizzativo. Siamo chiamati non solo a tradurre in processi comunitari i frutti di un’esperienza  spirituale personale, ma più profondamente a sperimentare come praticare il comandamento nuovo  dell’amore reciproco sia luogo e forma di incontro con Dio. In questo senso la prospettiva sinodale,  mentre attinge al ricco patrimonio spirituale della Tradizione, contribuisce a rinnovarne le forme: una  preghiera aperta alla partecipazione, un discernimento vissuto insieme, un’energia missionaria che  nasce dalla condivisione e si irradia come servizio.  

45. La conversazione nello Spirito è uno strumento che, pur con i suoi limiti, risulta fecondo  per consentire l’ascolto e il discernernimento «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7). La sua  pratica ha suscitato gioia, stupore e gratitudine ed è stata vissuta come un percorso di rinnovamento  che trasforma gli individui, i gruppi, la Chiesa. La parola “conversazione” esprime qualcosa di più  del semplice dialogo: intreccia in modo armonico pensiero e sentimento e genera un mondo vitale  condiviso. Per questo si può dire che nella conversazione è in gioco la conversione. Si tratta di un  dato antropologico che si ritrova in popoli e culture diversi, accomunate dalla pratica di un radunarsi  solidale per trattare e decidere le questioni vitali per la comunità. La grazia porta a compimento questa  esperienza umana: conversare “nello Spirito” significa vivere l’esperienza della condivisione nella  luce della fede e nella ricerca del volere di Dio, in un’atmosfera evangelica entro cui lo Spirito Santo  può far udire la Sua voce inconfondibile.  

46. In ogni fase del processo sinodale è risuonato il bisogno di guarigione, riconciliazione e  ricostruzione della fiducia all’interno della Chiesa, in particolare in seguito ai troppi scandali legati  ai diversi tipi di abusi, e della società. La Chiesa è chiamata a mettere al centro della propria vita e  della propria azione il fatto che in Cristo, attraverso il Battesimo, siamo affidati l’uno all’altro. Il  riconoscimento di questa realtà profonda si trasforma in un dovere sacro che ci rende capaci di  riconoscere gli errori e ricostruire la fiducia. Percorrere questo cammino è un atto di giustizia e un impegno missionario del Popolo di Dio nel nostro mondo e un dono che dobbiamo invocare dall’alto.  Il desiderio di continuare a camminare su questa strada è frutto del rinnovamento sinodale. 

Sinodalità come profezia sociale 

47. Praticato con umiltà, lo stile sinodale può rendere la Chiesa una voce profetica nel mondo  di oggi. «La Chiesa sinodale è come uno stendardo innalzato tra le nazioni (cfr. Is 11,12)» (Francesco,  Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17  ottobre 2015). Viviamo in un’epoca segnata da disuguaglianze sempre più marcate, da una crescente  disillusione nei confronti dei modelli tradizionali di governo, dal disincanto per il funzionamento  della democrazia, da crescenti tendenze autocratiche e dittatoriali, dal predominio del modello di  mercato senza riguardo per la vulnerabilità delle persone e della creazione, e dalla tentazione di  risolvere i conflitti con la forza piuttosto che con il dialogo. Pratiche autentiche di sinodalità  permettono ai Cristiani di elaborare una cultura capace di profezia critica nei confronti del pensiero  dominante e offrire così un contributo peculiare alla ricerca di risposte a molte delle sfide che le  società contemporanee devono affrontare e alla costruzione del bene comune. 

48. Il modo sinodale di vivere le relazioni è una testimonianza sociale che risponde al bisogno  umano di essere accolti e sentirsi riconosciuti all’interno di una comunità concreta. È una sfida al  crescente isolamento delle persone e all’individualismo culturale, che anche la Chiesa ha spesso  assorbito, e ci richiama alla cura reciproca, all’interdipendenza e alla corresponsabilità per il bene  comune. Allo stesso modo, sfida un comunitarismo sociale esagerato che soffoca le persone e non  permette loro di essere soggetti del proprio sviluppo. La disponibilità all’ascolto di tutti, specialmente  dei poveri, si pone in netto contrasto con un mondo in cui la concentrazione del potere taglia fuori i  poveri, gli emarginati, le minoranze e la terra, nostra casa comune. Sinodalità ed ecologia integrale  assumono entrambe la prospettiva delle relazioni e insistono sulla necessità della cura dei legami: per  questo si corrispondono e si integrano nel modo di vivere la missione della Chiesa nel mondo  contemporaneo.  

Parte II – Sulla barca, insieme 

La conversione delle relazioni 

Si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di  Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado  a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te» (Gv 21,2-3). 

49. Il lago di Tiberiade è il luogo in cui tutto era iniziato. Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni  avevano lasciato la barca e le reti per andare dietro a Gesù. Dopo la Pasqua, si riparte da quel lago.  Nella notte, sulla riva risuona un dialogo: «Io vado a pescare». «Veniamo anche noi con te». Anche  il percorso sinodale è iniziato così: abbiamo udito l’invito del Successore di Pietro e l’abbiamo  accolto; ci siamo messi in movimento con lui e dietro di lui. Insieme abbiamo pregato, riflettuto,  faticato e dialogato. Ma soprattutto abbiamo sperimentato che sono le relazioni a sostenere la vitalità  della Chiesa, animando le sue strutture. Una Chiesa sinodale missionaria ha bisogno di rinnovare le  une e le altre.

Relazioni nuove 

50. Lungo tutto il cammino del Sinodo e a tutte le latitudini è emersa la richiesta di una Chiesa  più capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle comunità,  tra tutti i Cristiani, tra gruppi sociali, tra le religioni, con la creazione. Molti hanno espresso la sorpresa  di essere interpellati e la gioia di poter far sentire la loro voce nella comunità; non è mancato anche  chi ha condiviso la sofferenza di sentirsi escluso o giudicato anche a causa della propria situazione  matrimoniale, identità e sessualità. Il desiderio di relazioni più autentiche e significative non esprime  soltanto l’aspirazione di appartenere a un gruppo coeso, ma corrisponde a una profonda  consapevolezza di fede: la qualità evangelica dei rapporti comunitari è decisiva per la testimonianza  che il Popolo di Dio è chiamato a dare nella storia. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli:  se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Le relazioni rinnovate dalla grazia e l’ospitalità offerta  agli ultimi secondo l’insegnamento di Gesù sono il segno più eloquente dell’azione dello Spirito  Santo nella comunità dei discepoli. Per essere una Chiesa sinodale è dunque necessaria una vera  conversione relazionale. Dobbiamo di nuovo imparare dal Vangelo che la cura delle relazioni non è  una strategia o lo strumento per una maggiore efficacia organizzativa, ma è il modo in cui Dio Padre  si è rivelato in Gesù e nello Spirito. Quando le nostre relazioni, pur nella loro fragilità, fanno trasparire  la grazia di Cristo, l’amore del Padre, la comunione dello Spirito, noi confessiamo con la vita la fede  in Dio Trinità.  

51. È ai Vangeli che dobbiamo guardare per tracciare la mappa della conversione che ci è  richiesta, imparando a fare nostri gli atteggiamenti di Gesù. I Vangeli ce lo «presentano costantemente  in ascolto delle persone che gli si fanno incontro lungo le strade della Terra Santa» (DTC 11). Che si  trattasse di uomini o di donne, di ebrei o di pagani, di dottori della legge o di pubblicani, di giusti o  di peccatori, di mendicanti, di ciechi, di lebbrosi o malati, Gesù non ha mandato via nessuno senza  fermarsi ad ascoltare e senza entrare in dialogo. Ha rivelato il volto del Padre venendo incontro a  ognuno lì dove si trova la sua storia e la sua libertà. Dall’ascolto dei bisogni e della fede delle persone  che incontrava sgorgavano parole e gesti che rinnovavano la loro vita, aprendo la strada a relazioni  risanate. Gesù è il Messia che «fa udire i sordi e fa parlare i muti» (Mc 7,37). A noi Suoi discepoli  chiede di comportarci allo stesso modo e ci dona, con la grazia dello Spirito Santo, la capacità di  farlo, modellando il nostro cuore sul Suo: solo «il cuore rende possibile qualsiasi legame autentico,  perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione  dell’individualismo» (DN 17). Quando ci mettiamo in ascolto dei fratelli e delle sorelle, partecipiamo  all’atteggiamento con cui Dio in Gesù Cristo viene incontro ad ognuno.  

52. L’esigenza di conversione nelle relazioni riguarda inequivocabilmente quelle tra uomini e  donne. Il dinamismo relazionale è iscritto nella nostra condizione di creature. La differenza sessuale  costituisce la base della relazionalità umana. «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio  lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Nel progetto di Dio questa differenza originaria non  comporta disuguaglianza tra uomo e donna. Nella nuova creazione, essa viene riletta alla luce della  dignità del Battesimo: «quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo  né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo  Gesù» (Gal 3,27-28). Come cristiani siamo chiamati ad accogliere e rispettare, nei diversi modi e nei  diversi contesti in cui si esprime, questa differenza che è dono di Dio e fonte di vita. Diamo  testimonianza al Vangelo quando cerchiamo di vivere relazioni che rispettano l’uguale dignità e la  reciprocità tra uomini e donne. Le ricorrenti espressioni di dolore e sofferenza da parte di donne di ogni regione e continente, sia laiche sia consacrate, durante il processo sinodale, rivelano quanto  spesso non riusciamo a farlo. 

In una pluralità di contesti 

53. La chiamata al rinnovamento delle relazioni nel Signore Gesù risuona nella pluralità dei  contesti in cui i Suoi discepoli vivono e realizzano la missione della Chiesa. Ciascuno di questi  contesti ha peculiari ricchezze di cui è indispensabile tenere conto, legate al pluralismo delle culture.  Tutti però, pur con modalità diverse, portano i segni di logiche relazionali distorte e talvolta opposte  a quelle del Vangelo. Lungo la storia, le chiusure relazionali si sono solidificate in vere e proprie  strutture di peccato (cfr. SRS 36), che influenzano il modo in cui le persone pensano e agiscono. In  particolare, generano blocchi e paure, che abbiamo bisogno di guardare in faccia e attraversare per  poterci incamminare sulla strada della conversione relazionale. 

54. Trovano radice in questa dinamica i mali che affliggono il nostro mondo, a partire dalle  guerre e dai conflitti armati, e dall’illusione che una pace giusta si possa ottenere con la forza delle  armi. Altrettanto letale è la convinzione che tutto il creato, perfino le persone, possa essere sfruttato  a piacimento per ricavarne profitto. Ne sono conseguenza le molte e diverse barriere che dividono le  persone, anche nelle comunità cristiane, e limitano le possibilità di alcuni rispetto a quelle di cui  godono altri: le disuguaglianze tra uomini e donne, il razzismo, la divisione in caste, la  discriminazione delle persone con disabilità, la violazione dei diritti delle minoranze di ogni genere,  la mancata disponibilità ad accogliere i migranti. Anche la relazione con la terra, nostra sorella e  madre (cfr. LS 1), porta i segni di una frattura che mette a repentaglio la vita di innumerevoli  comunità, in particolare nelle regioni più impoverite, se non di interi popoli e forse dell’umanità tutta.  La chiusura più radicale e drammatica è quella nei confronti della stessa vita umana, che conduce allo  scarto dei bambini, fin dal grembo materno, e degli anziani. 

55. Tanti mali che affliggono il nostro mondo si manifestano anche nella Chiesa. La crisi degli  abusi, nelle sue diverse e tragiche manifestazioni, ha portato sofferenze indicibili e spesso durature  alle vittime e ai sopravvissuti, e alle loro comunità. La Chiesa deve ascoltare con particolare  attenzione e sensibilità la voce delle vittime e dei sopravvissuti agli abusi sessuali, spirituali,  economici, istituzionali, di potere e di coscienza da parte di membri del clero o di persone con  incarichi ecclesiali. L’ascolto è un elemento fondamentale del cammino verso la guarigione, il  pentimento, la giustizia e la riconciliazione. In un’epoca che conosce una crisi globale di fiducia e  incoraggia le persone a vivere nella diffidenza e nel sospetto, la Chiesa deve riconoscere le proprie  mancanze, chiedere umilmente perdono, prendersi cura delle vittime, darsi strumenti di prevenzione  e sforzarsi di ricostruire la fiducia reciproca nel Signore. 

56. L’ascolto di chi patisce esclusione ed emarginazione rafforza la consapevolezza della  Chiesa che fa parte della sua missione farsi carico del peso di queste relazioni ferite perché il Signore,  il Vivente, le risani. Solo così essa può essere «come il sacramento, cioè segno e strumento dell’intima  unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). Al tempo stesso, l’apertura al mondo  permette di scoprire che in ogni angolo del pianeta, in ogni cultura e in ogni gruppo umano, lo Spirito  ha sparso i semi del Vangelo. Essi portano frutto nella capacità di vivere relazioni sane, di coltivare  la fiducia reciproca e il perdono, di vincere la paura del diverso e dare vita a comunità accoglienti, di  promuovere un’economia attenta alle persone e al pianeta, di riconciliarsi dopo un conflitto. La storia  ci consegna un retaggio di conflitti motivati anche in nome dell’appartenenza religiosa, minando la  credibilità delle religioni stesse. Fonte di sofferenza è lo scandalo della divisione tra comunioni cristiane, l’inimicizia tra fratelli e sorelle che hanno ricevuto lo stesso Battesimo. La rinnovata  esperienza di slancio ecumenico che accompagna il cammino sinodale, uno dei segni della  conversione relazionale, apre alla speranza. 

Carismi, vocazioni e ministeri per la missione 

57. I Cristiani, personalmente o in forma associata, sono chiamati a far fruttificare i doni che lo  Spirito elargisce in vista della testimonianza e dell’annuncio del Vangelo. «Vi sono diversi carismi,  ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività,  ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello  Spirito per il bene comune» (1Cor 12, 4-7). Nella comunità cristiana, tutti i Battezzati sono arricchiti  di doni da condividere, ciascuno secondo la propria vocazione e la propria condizione di vita. Le  diverse vocazioni ecclesiali sono infatti espressioni molteplici e articolate dell’unica chiamata  battesimale alla santità e alla missione. La varietà di carismi, che ha origine nella libertà dello Spirito  Santo, è finalizzata all’unità del Corpo ecclesiale di Cristo (cfr. LG 32) e alla missione nei diversi  luoghi e culture (cfr. LG 12). Questi doni non sono proprietà esclusiva di chi li riceve e li esercita, né  possono essere motivo di rivendicazione per sé o per un gruppo. Essi sono chiamati a contribuire sia  alla vita della comunità cristiana, anche con un’adeguata pastorale vocazionale, sia allo sviluppo della  società nelle sue molteplici dimensioni.  

58. Ogni Battezzato risponde alle esigenze della missione nei contesti in cui vive e opera a  partire dalle proprie inclinazioni e capacità, manifestando così la libertà dello Spirito nell’elargire i  propri doni. È grazie a questo dinamismo nello Spirito che il Popolo di Dio, mettendosi in ascolto  della realtà in cui vive, può scoprire nuovi ambiti di impegno e nuove forme per adempiere la propria  missione. I Cristiani che a diverso titolo – in famiglia e in altri stati di vita, sul posto di lavoro e nelle  professioni, nell’impegno civico o politico, sociale o ecologico, nell’elaborazione di una cultura  ispirata dal Vangelo come nell’evangelizzazione della cultura dell’ambiente digitale – percorrono le  vie del mondo e nei loro ambienti di vita annunciano il Vangelo, sono sostenuti dai doni dello Spirito.  

59. Alla Chiesa essi chiedono di non essere lasciati soli, ma di sentirsi inviati e sostenuti.  Chiedono di essere nutriti dal pane della Parola e dell’Eucaristia, oltre che dai legami fraterni della  comunità. Chiedono che il loro impegno sia riconosciuto per quello che è: azione di Chiesa in forza  del Vangelo, non opzione privata. Chiedono infine che la comunità accompagni coloro che, per la  loro testimonianza, sono stati attirati dal Vangelo. In una Chiesa sinodale missionaria, sotto la guida  dei loro Pastori, le comunità saranno capaci di inviare e sostenere coloro che hanno inviato. Si  concepiranno quindi principalmente a servizio della missione che i Fedeli portano avanti all’interno  della società, nella vita familiare e lavorativa, senza concentrarsi esclusivamente sulle attività che si  svolgono al loro interno e sulle loro necessità organizzative. 

60. In forza del Battesimo, uomini e donne godono di pari dignità nel Popolo di Dio. Eppure,  le donne continuano a trovare ostacoli nell’ottenere un riconoscimento più pieno dei loro carismi,  della loro vocazione e del loro posto nei diversi ambiti della vita della Chiesa, a scapito del servizio  alla comune missione. Le Scritture attestano il ruolo di primo piano di molte donne nella storia della  salvezza. A una donna, Maria di Magdala, è stato affidato il primo annuncio della Risurrezione; nel  giorno di Pentecoste, nel Cenacolo era presente Maria, la Madre di Dio, insieme a molte altre donne  che avevano seguito il Signore. È importante che i relativi passi della Scrittura trovino adeguato  spazio all’interno dei lezionari liturgici. Alcuni snodi cruciali della storia della Chiesa confermano  l’apporto essenziale di donne mosse dallo Spirito. Le donne costituiscono la maggioranza di coloro che frequentano le chiese e sono spesso le prime testimoni della fede nelle famiglie. Sono attive nella  vita delle piccole comunità cristiane e nelle Parrocchie; gestiscono scuole, ospedali e centri di  accoglienza; sono a capo di iniziative di riconciliazione e di promozione della dignità umana e della  giustizia sociale. Le donne contribuiscono alla ricerca teologica e sono presenti in posizioni di  responsabilità nelle istituzioni legate alla Chiesa, nelle Curie diocesane e nella Curia Romana. Ci  sono donne che svolgono ruoli di autorità o sono a capo di comunità. Questa Assemblea invita a dare  piena attuazione a tutte le opportunità già previste dal diritto vigente relativamente al ruolo delle  donne, in particolare nei luoghi dove esse restano inattuate. Non ci sono ragioni che impediscano alle  donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito  Santo. Anche la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta. Occorre  proseguire il discernimento a riguardo. L’Assemblea invita inoltre a prestare maggiore attenzione al  linguaggio e alle immagini utilizzate nella predicazione, nell’insegnamento, nella catechesi e nella  redazione dei documenti ufficiali della Chiesa, dando maggiore spazio all’apporto di donne sante,  teologhe e mistiche. 

61. All’interno della comunità cristiana, un’attenzione particolare va riservata ai bambini: non  hanno solo bisogno di essere accompagnati nell’avventura della crescita, ma hanno molto da donare  alla comunità dei credenti. Quando gli apostoli discutono tra loro su chi sia il più grande, Gesù mette  al centro un bambino, presentandolo come criterio per entrare nel Regno (cfr. Mc 9,33-37). La Chiesa  non può essere sinodale senza il contributo dei bambini, portatori di un potenziale missionario da  valorizzare. La loro voce è necessaria alla comunità: dobbiamo ascoltarla e impegnarci perché tutti  nella società la ascoltino, soprattutto coloro che hanno responsabilità politiche e educative. Una  società che non sa accogliere e custodire i bambini è una società malata; la sofferenza che molti di  loro patiscono per la guerra, la povertà e l’abbandono, l’abuso e la tratta è uno scandalo che richiede  il coraggio della denuncia e l’impegno della solidarietà. 

62. Anche i giovani hanno un contributo da dare al rinnovamento sinodale della Chiesa. Essi  sono particolarmente sensibili ai valori della fraternità e della condivisione, mentre respingono  atteggiamenti paternalistici o autoritari. A volte il loro atteggiamento verso la Chiesa si presenta come  una critica, ma spesso assume la forma positiva di un impegno personale per una comunità  accogliente e impegnata a lottare contro l’ingiustizia sociale e per la cura della casa comune. La  richiesta di «camminare insieme nel quotidiano», avanzata dai giovani nel Sinodo loro dedicato nel  2018, corrisponde esattamente all’orizzonte di una Chiesa sinodale. Per questo è fondamentale  assicurare loro un accompagnamento premuroso e paziente; in particolare merita di essere ripresa la  proposta, emersa grazie al loro contributo, di «un’esperienza di accompagnamento in vista del  discernimento», che preveda la vita fraterna condivisa con educatori adulti, un impegno apostolico  da vivere insieme a servizio dei più bisognosi; un’offerta di spiritualità radicata nella preghiera e nella  vita sacramentale (cfr. Documento finale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei  Vescovi, “I Giovani, la Fede ed il Discernimento Vocazionale”, 161). 

63. Nella promozione della corresponsabilità per la missione di tutti i Battezzati, riconosciamo  le capacità apostoliche delle persone con disabilità che si sentono chiamate e inviate come soggetti  attivi di evangelizzazione. Vogliamo valorizzare il contributo che proviene dall’immensa ricchezza  di umanità che portano con sé. Riconosciamo le loro esperienze di sofferenza, emarginazione,  discriminazione, a volte patite anche dentro la stessa comunità cristiana, per atteggiamenti  paternalistici di commiserazione. Per favorire la loro partecipazione alla vita e alla missione della  Chiesa si propone la creazione di un Osservatorio ecclesiale della disabilità.

64. Tra le vocazioni da cui è arricchita la Chiesa spicca quella dei coniugi. Il Concilio Vaticano  II ha insegnato che «essi possiedono nel loro stato di vita e nel loro ordine il proprio dono di grazia  in mezzo al popolo di Dio» (LG 11). Il sacramento del matrimonio assegna una peculiare missione  che riguarda allo stesso tempo la vita della famiglia, l’edificazione della Chiesa e l’impegno nella  società. In particolare, negli anni recenti è cresciuta la consapevolezza che le famiglie sono soggetti  e non sono solo destinatari della pastorale familiare. Per questo hanno bisogno di incontrarsi e fare  rete, anche grazie all’aiuto delle istituzioni ecclesiali dedicate all’educazione dei bambini e dei  ragazzi. Nuovamente l’Assemblea esprime vicinanza e sostegno a coloro che vivono una condizione  di solitudine come scelta di fedeltà alla Tradizione e al magistero della Chiesa in materia matrimoniale  e di etica sessuale, in cui riconoscono una fonte di vita. 

65. Nel corso dei secoli, i doni spirituali hanno dato origine anche a varie espressioni di vita  consacrata. Fin dagli albori la Chiesa ha riconosciuto l’azione dello Spirito nella vita di quegli uomini  e donne che hanno scelto di seguire Cristo sulla via dei consigli evangelici, consacrandosi al servizio  di Dio tanto nella contemplazione come in molteplici forme di servizio. La vita consacrata è chiamata  a interpellare la Chiesa e la società con la propria voce profetica. Nella loro secolare esperienza, le 

famiglie religiose hanno maturato sperimentate pratiche di vita sinodale e di discernimento  comunitario, imparando ad armonizzare i doni individuali e la missione comune. Ordini e  Congregazioni, Società di vita apostolica, Istituti secolari, come pure Associazioni, Movimenti e  Nuove Comunità hanno uno speciale apporto da dare alla crescita della sinodalità nella Chiesa. Oggi  molte comunità di vita consacrata sono un laboratorio di interculturalità che costituisce una profezia  per la Chiesa e per il mondo. Al tempo stesso, la sinodalità invita – e talvolta sfida – i Pastori delle  Chiese locali, così come i responsabili della vita consacrata e delle Aggregazioni ecclesiali a  rinforzare le relazioni in modo da dare vita a uno scambio di doni a servizio della comune missione. 

66. La missione coinvolge tutti i Battezzati. Il primo compito di Laici e Laiche è permeare e  trasformare le realtà temporali con lo spirito del Vangelo (cfr. LG 31.33; AA 5-7). Il processo  sinodale, sostenuto da uno stimolo di Papa Francesco (cfr. Lettera Apostolica in forma di Motu  proprio Spiritus Domini, 10 gennaio 2021), ha sollecitato le Chiese locali a rispondere con creatività  e coraggio ai bisogni della missione, discernendo tra i carismi alcuni che è opportuno prendano una  forma ministeriale, dotandosi di criteri, strumenti e procedure adeguate. Non tutti i carismi devono  essere configurati come ministeri, né tutti i Battezzati devono essere ministri, né tutti i ministeri  devono essere istituiti. Perché un carisma sia configurato come ministero è necessario che la comunità  identifichi una vera necessità pastorale, accompagnata da un discernimento realizzato dal Pastore  insieme alla comunità sull’opportunità di creare un nuovo ministero. Come frutto di tale processo  l’autorità competente assume la decisione. In una Chiesa sinodale missionaria, si sollecita la  promozione di forme più numerose di ministeri laicali, che cioè non richiedono il sacramento  dell’Ordine, non solo in ambito liturgico. Possono essere istituiti o non istituiti. Va anche avviata una  riflessione su come affidare i ministeri laicali in un tempo in cui le persone si spostano da un luogo a  un altro con crescente facilità, precisando tempi e ambiti del loro esercizio.  

67. Tra i molti servizi ecclesiali, l’Assemblea ha riconosciuto il contributo all’intelligenza della  fede e al discernimento offerto dalla teologia nella varietà delle sue espressioni. Teologi e teologhe  aiutano il Popolo di Dio a sviluppare una comprensione della realtà illuminata dalla Rivelazione e a  elaborare risposte idonee e linguaggi appropriati per la missione. Nella Chiesa sinodale e missionaria  «il carisma della teologia è chiamato a svolgere un servizio specifico […]. Insieme con l’esperienza  di fede e la contemplazione della verità del Popolo fedele e con la predicazione dei Pastori, contribuisce alla penetrazione sempre più profonda del Vangelo. Inoltre, “come per qualsiasi altra  vocazione cristiana, anche il ministero del teologo, oltre ad essere personale, è anche comunitario e  collegiale”» (CTI, n. 75), soprattutto quando è svolto in forma di insegnamento affidato con una  missione canonica nelle istituzioni accademiche ecclesiastiche. «La sinodalità ecclesiale impegna  dunque i teologi a fare teologia in forma sinodale, promuovendo tra loro la capacità di ascoltare,  dialogare, discernere e integrare la molteplicità e varietà delle istanze e degli apporti» (ibid.). In questa  linea, è urgente favorire, attraverso opportune forme istituzionali, il dialogo tra i Pastori e coloro che  sono impegnati nella ricerca teologica. L’Assemblea invita le istituzioni teologiche a proseguire la  ricerca volta a chiarire e approfondire il significato della sinodalità e accompagnare la formazione  nelle Chiese locali. 

Il ministero ordinato a servizio dell’armonia 

68. Come tutti i ministeri della Chiesa, l’episcopato, il presbiterato e il diaconato sono al  servizio dell’annuncio del Vangelo e dell’edificazione della comunità ecclesiale. Il Concilio Vaticano  II ha ricordato che il ministero ordinato di istituzione divina «viene esercitato in ordini diversi da  coloro che già in antico vengono chiamati Vescovi, Presbiteri, Diaconi» (LG 28). In questo contesto,  il Concilio Vaticano II ha affermato la sacramentalità dell’episcopato (cfr. LG 21), ha recuperato la  realtà comunionale del presbiterato (cfr. LG 28) e ha aperto la strada al ripristino dell’esercizio  permanente del diaconato nella Chiesa latina (cfr. LG 29).  

Il ministero del Vescovo: comporre in unità i doni dello Spirito 

69. Compito del Vescovo è presiedere una Chiesa locale, come principio visibile di unità al suo  interno e vincolo di comunione con tutte le Chiese. L’affermazione del Concilio secondo cui «con la  Consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’Ordine» (LG 21) consente  di comprendere l’identità del Vescovo nella trama delle relazioni sacramentali con Cristo e con la  «porzione del Popolo di Dio» (CD 11) che gli è affidata e che è chiamato a servire in nome di Cristo  Buon Pastore. Chi è ordinato Vescovo non viene caricato di prerogative e compiti che deve svolgere  da solo. Piuttosto riceve la grazia e il compito di riconoscere, discernere e comporre in unità i doni  che lo Spirito effonde sui singoli e sulle comunità, operando all’interno del legame sacramentale con  i Presbiteri e i Diaconi, con lui corresponsabili del servizio ministeriale nella Chiesa locale. Nel fare  questo realizza ciò che è più proprio e specifico della sua missione nel contesto per la sollecitudine  per la comunione delle Chiese. 

70. Quello del Vescovo è un servizio nella, con e per la comunità (cfr. LG 20), svolto tramite  l’annuncio della Parola, la presidenza della celebrazione eucaristica e degli altri sacramenti. Per  questo l’Assemblea sinodale auspica che il Popolo di Dio abbia maggiore voce nella scelta dei  Vescovi. Raccomanda inoltre che l’Ordinazione del Vescovo avvenga nella Diocesi cui è destinato  come Pastore e non nella Diocesi di origine, come spesso avviene, e che i principali consacranti siano  scelti tra i Vescovi della Provincia ecclesiastica, compreso, per quanto possibile, il Metropolita.  Apparirà così meglio che colui che diviene Vescovo contrae un legame con la Chiesa cui è destinato,  assumendo pubblicamente di fronte ad essa gli impegni del suo ministero. Ugualmente è importante  che, soprattutto durante le visite pastorali, possa trascorrere del tempo con i Fedeli, per ascoltarli in  vista del suo discernimento. Ciò aiuterà a far sperimentare la Chiesa come famiglia di Dio. La  costitutiva relazione del Vescovo con la Chiesa locale non appare oggi con sufficiente chiarezza nel caso dei Vescovi titolari, ad esempio i Rappresentanti pontifici e coloro che prestano servizio nella  Curia Romana. Su questo tema sarà opportuno continuare a riflettere. 

71. Anche i Vescovi hanno bisogno di essere accompagnati e sostenuti nel loro ministero. Il  Metropolita può rivestire un ruolo di promozione della fraternità tra Vescovi di Diocesi limitrofe.  Lungo il percorso sinodale è emersa l’esigenza di offrire ai Vescovi percorsi di formazione continua  anche nei contesti locali. È stata richiamata la necessità di precisare il ruolo dei Vescovi ausiliari e di  ampliare i compiti che il Vescovo può delegare. Andrà valorizzata anche l’esperienza dei Vescovi  emeriti nella loro nuova modalità di essere a servizio del Popolo di Dio. È importante aiutare i Fedeli  a non coltivare attese eccessive ed irrealistiche nei confronti del Vescovo, ricordando che anch’egli è  un fratello fragile, esposto alla tentazione, bisognoso come tutti di aiuto. Una visione idealizzata del  Vescovo non facilita il suo delicato ministero, che è invece sostenuto da una partecipazione di tutto  il Popolo di Dio alla missione in una Chiesa veramente sinodale.  

Con il Vescovo: Presbiteri e Diaconi 

72. In una Chiesa sinodale i Presbiteri sono chiamati a vivere il proprio servizio in un  atteggiamento di vicinanza alle persone, di accoglienza e di ascolto di tutti, aprendosi a uno stile  sinodale. I Presbiteri «costituiscono insieme col loro Vescovo un unico Presbiterio» (LG 28) e  collaborano con lui nel discernere i carismi e nell’accompagnare e guidare la Chiesa locale, con una  particolare attenzione al servizio dell’unità. Sono chiamati a vivere la fraternità presbiterale e a  camminare insieme nel servizio pastorale. Del presbiterio fanno parte anche i Presbiteri membri di  Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica, che lo arricchiscono con la peculiarità del loro  carisma. Essi, così come i Presbiteri che provengono da Chiese Orientali sui iuris, celibi o sposati, i  Presbiteri fidei donum e quelli che provengono da altre nazioni aiutano il clero locale ad aprirsi agli  orizzonti della Chiesa intera, mentre i Presbiteri diocesani aiutano gli altri confratelli a inserirsi nella  storia di una Diocesi concreta, con le sue tradizioni e ricchezze spirituali. In questo modo anche nel  presbiterio si realizza un vero scambio di doni in vista della missione. Anche i Presbiteri hanno  bisogno di essere accompagnati e sostenuti, soprattutto nelle prime tappe del ministero e in momenti  di debolezza e di fragilità.  

73. Servi dei misteri di Dio e della Chiesa (cfr. LG 41), i Diaconi sono ordinati «non per il  sacerdozio, ma per il ministero» (LG 29). Lo esercitano nel servizio della carità, nell’annuncio e nella  liturgia, mostrando in ogni contesto sociale ed ecclesiale in cui sono presenti la relazione tra Vangelo  annunciato e vita vissuta nell’amore, e promuovendo nella Chiesa intera una coscienza e uno stile di  servizio verso tutti, specialmente i più poveri. Le funzioni dei Diaconi sono molteplici, come  mostrano la Tradizione, la preghiera liturgica e la prassi pastorale. Esse andranno specificate in  risposta ai bisogni di ogni Chiesa locale, in particolare per risvegliare e sostenere l’attenzione di tutti  nei confronti dei più poveri, nel quadro di una Chiesa sinodale missionaria e misericordiosa. Il  ministero diaconale rimane ancora sconosciuto a molti Cristiani, anche perché, pur essendo stato  ripristinato dal Vaticano II nella Chiesa latina come grado proprio e permanente (cfr. LG 29), non è  stato ancora accolto in tutte le aree geografiche. L’insegnamento del Concilio andrà ulteriormente  approfondito, anche sulla base di una verifica delle molteplici esperienze in atto, ma offre già solide  motivazioni alle Chiese locali per non tardare nel promuovere il diaconato permanente in modo più  generoso, riconoscendo in questo ministero un prezioso fattore di maturazione di una Chiesa serva  alla sequela del Signore Gesù che si è fatto servo di tutti. Questo approfondimento potrà aiutare anche  a comprendere meglio il significato dell’Ordinazione diaconale di coloro che diventeranno Presbiteri.

La collaborazione fra i Ministri ordinati all’interno della Chiesa sinodale 

74. Più volte, nel corso del processo sinodale, è stata espressa gratitudine nei confronti di  Vescovi, Presbiteri e Diaconi per la gioia, l’impegno e la dedizione con cui svolgono il loro servizio.  Sono state ascoltate anche le difficoltà che i Pastori incontrano nel loro ministero, legate soprattutto  a un senso di isolamento, di solitudine, oltre che dall’essere sopraffatti dalle richieste di soddisfare  ogni bisogno. L’esperienza del Sinodo può aiutare Vescovi, Presbiteri e Diaconi a riscoprire la  corresponsabilità nell’esercizio del ministero, che richiede anche la collaborazione con gli altri  membri del Popolo di Dio. Una distribuzione più articolata dei compiti e delle responsabilità, un  discernimento più coraggioso di ciò che appartiene in proprio al Ministero ordinato e di ciò che può  e deve essere delegato ad altri, ne favorirà l’esercizio in modo spiritualmente più sano e pastoralmente  più dinamico in ciascuno dei suoi ordini. Questa prospettiva non mancherà di avere un impatto sui  processi decisionali caratterizzati da uno stile più chiaramente sinodale. Aiuterà anche a superare il  clericalismo inteso come uso del potere a proprio vantaggio e distorsione dell’autorità della Chiesa  che è servizio al Popolo di Dio. Esso si esprime soprattutto negli abusi sessuali, economici, di  coscienza e di potere da parte dei Ministri della Chiesa. «Il clericalismo, favorito sia dagli stessi  Sacerdoti sia dai Laici, genera una scissione nel Corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare  molti dei mali che oggi denunciamo» (Francesco, Lettera al Popolo di Dio, 20 agosto 2018).  

Insieme per la missione 

75. In risposta alle esigenze della comunità e della missione, lungo la sua storia la Chiesa ha  dato vita ad alcuni ministeri, distinti da quelli ordinati. Tali ministeri sono la forma che i carismi  assumono quando sono pubblicamente riconosciuti dalla comunità e da coloro che hanno la  responsabilità di guidarla e sono messi in modo stabile a servizio della missione. Alcuni sono più  specificatamente volti al servizio della comunità cristiana. Di particolare rilevanza sono i ministeri  istituiti, che vengono conferiti dal Vescovo, una volta nella vita, con un rito specifico, dopo un  appropriato discernimento e un’adeguata formazione dei candidati. Non si tratta di un semplice  mandato o di un’assegnazione di compiti; il conferimento del ministero è un sacramentale che plasma  la persona e definisce il suo modo di partecipare alla vita e alla missione della Chiesa. Nella Chiesa  latina si tratta del ministero del lettore e dell’accolito (cfr. Lettera Apostolica in forma di Motu proprio  Spiritus Domini, 10 gennaio 2021), e di quello del catechista (cfr. Lettera Apostolica in forma di Motu  proprio Antiquum ministerium, 10 maggio 2021). I termini e le modalità del loro esercizio devono  essere definiti da un mandato della legittima autorità. Compete alle Conferenze episcopali stabilire le  condizioni personali che i candidati devono soddisfare ed elaborare gli itinerari formativi per  l’accesso a questi ministeri. 

76. A questi si affiancano ministeri non istituiti ritualmente, ma esercitati con stabilità su  mandato dell’autorità competente, come, ad esempio, il ministero di coordinare una piccola comunità  ecclesiale, di guidare la preghiera della comunità, di organizzare azioni caritative, ecc., che  ammettono una grande varietà a seconda delle caratteristiche della comunità locale. Ne sono un  esempio i catechisti che da sempre in molte regioni dell’Africa sono responsabili di comunità prive  di Presbiteri. Anche se non esiste un rito prescritto, è opportuno rendere pubblico l’affidamento  attraverso un mandato davanti alla comunità per favorirne l’effettivo riconoscimento. Esistono anche  ministeri straordinari, come il ministero straordinario della comunione, la presidenza delle  celebrazioni domenicali in attesa di Presbitero, l’amministrazione di alcuni sacramentali o altri.  L’ordinamento canonico latino e orientale prevede già che, in alcuni casi, i Fedeli laici, uomini o donne, possano essere anche ministri straordinari del Battesimo. Nell’ordinamento canonico latino,  il Vescovo (con l’autorizzazione della Santa Sede) può delegare l’assistenza ai matrimoni a Fedeli  laici, uomini o donne. Sulla base delle esigenze dei contesti locali, si valuti la possibilità di allargare  e rendere stabili queste opportunità di esercizio ministeriale da parte di Fedeli laici. Infine, ci sono i  servizi spontanei, che non hanno bisogno di ulteriori condizioni o riconoscimenti espliciti.  Dimostrano che tutti i Fedeli, in vario modo, partecipano alla missione attraverso i loro doni e carismi.  

77. Ai Fedeli laici, uomini e donne, occorre offrire maggiori opportunità di partecipazione,  esplorando anche ulteriori forme di servizio e ministero in risposta alle esigenze pastorali del nostro  tempo, in uno spirito di collaborazione e corresponsabilità differenziata. Dal processo sinodale  emergono in particolare alcune esigenze concrete a cui dare risposta in modo adeguato ai diversi  contesti:  

a) una più ampia partecipazione di Laici e Laiche ai processi di discernimento ecclesiale e a tutte  le fasi dei processi decisionali (elaborazione e presa delle decisioni);  

b) un più ampio accesso di Laici e Laiche a posizioni di responsabilità nelle Diocesi e nelle  istituzioni ecclesiastiche, compresi Seminari, Istituti e Facoltà teologiche, in linea con le  disposizioni già esistenti;  

c) un maggiore riconoscimento e un più deciso sostegno alla vita e ai carismi di Consacrate e  Consacrati e il loro impiego in posizioni di responsabilità ecclesiale;  

d) l’aumento del numero di Laici e Laiche qualificati che svolgono il ruolo di giudice nei processi  canonici; 

e) un effettivo riconoscimento della dignità e il rispetto dei diritti che lavorano come dipendenti  della Chiesa e delle sue istituzioni. 

78. Il processo sinodale ha rinnovato la consapevolezza che l’ascolto è una componente  essenziale di ogni aspetto della vita della Chiesa: l’amministrazione dei sacramenti, in particolare  quello della Riconciliazione, la catechesi, la formazione e l’accompagnamento pastorale. In questo  quadro, l’Assemblea ha dedicato attenzione alla proposta di istituire un ministero dell’ascolto e  dell’accompagnamento, mostrando una varietà di orientamenti. Alcuni si sono espressi  favorevolmente, perché tale ministero costituirebbe un modo profetico di sottolineare l’importanza  di ascolto e accompagnamento nella comunità. Altri hanno affermato che ascolto e accompagnamento  sono compito di tutti i Battezzati, senza che ci sia necessità di un ministero specifico. Altri ancora evidenziano la necessità di un approfondimento, ad esempio del rapporto tra questo eventuale  ministero e l’accompagnamento spirituale, il counseling pastorale e la celebrazione del sacramento  della Riconciliazione. È emersa anche la proposta che l’eventuale ministero dell’ascolto e  dell’accompagnamento sia destinato in modo particolare all’accoglienza di chi è ai margini della  comunità ecclesiale, di chi ritorna dopo essersi allontanato, di chi è in ricerca della verità e desidera  essere aiutato a incontrare il Signore. Rimane dunque l’esigenza di proseguire il discernimento a  riguardo. I contesti locali dove questa esigenza è maggiormente sentita potranno promuovere una  sperimentazione ed elaborare possibili modelli su cui discernere. 

Parte III – «Gettate la rete» 

La conversione dei processi

Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No».  Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete».  La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. (Gv 21, 5-6) 

79. La pesca non ha dato frutto ed è ormai ora di rientrare a riva. Ma risuona una Voce,  autorevole, che invita a fare qualcosa che i discepoli da soli non avrebbero fatto, che indica una  possibilità che i loro occhi e la loro mente non riuscivano a intuire: «Gettate la rete dalla parte destra  della barca e troverete». Nel corso del processo sinodale, abbiamo cercato di ascoltare questa Voce e  di accogliere quello che ci diceva. Nella preghiera e nel dialogo fraterno, abbiamo riconosciuto che  il discernimento ecclesiale, la cura dei processi decisionali e l’impegno a rendere conto del proprio  operato e a valutare l’esito delle decisioni assunte sono pratiche con le quali rispondiamo alla Parola  che ci indica le vie della missione.  

80. Queste tre pratiche sono strettamente intrecciate. I processi decisionali hanno bisogno del  discernimento ecclesiale, che richiede l’ascolto in un clima di fiducia, che trasparenza e rendiconto  sostengono. La fiducia deve essere reciproca: coloro che prendono le decisioni hanno bisogno di  potersi fidare e ascoltare il Popolo di Dio, che a sua volta ha bisogno di potersi fidare di chi esercita  l’autorità. Questa visione integrale evidenzia che ciascuna di queste pratiche dipende dalle altre e le  sostiene, a servizio della capacità della Chiesa di svolgere la propria missione. Impegnarsi in processi  decisionali imperniati sul discernimento ecclesiale e assumere una cultura della trasparenza, del  rendiconto e della valutazione richiede una adeguata formazione non solo tecnica, ma capace di  esplorarne i fondamenti teologici, biblici e spirituali. Tutti i Battezzati hanno bisogno di questa  formazione alla testimonianza, alla missione, alla santità e al servizio, che mette in risalto la  corresponsabilità. Assume forme particolari per coloro che svolgono incarichi di responsabilità o a  servizio del discernimento ecclesiale. 

Il discernimento ecclesiale per la missione 

81. Per promuovere relazioni capaci di sostenere e orientare la missione della Chiesa, è esigenza  prioritaria esercitare la sapienza evangelica che ha permesso alla comunità apostolica di  Gerusalemme di sigillare il risultato del primo evento sinodale con le parole: «È parso bene, infatti,  allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28). È il discernimento che, in quanto esercitato dal Popolo di Dio  in vista della missione, possiamo qualificare come “ecclesiale”. Lo Spirito che il Padre ha mandato  nel nome di Gesù e che insegna ogni cosa (cfr. Gv 14,26), guida in ogni tempo i credenti «a tutta la  verità» (Gv 16,13). Per la Sua presenza e la Sua azione continua, la «Tradizione, che viene dagli  Apostoli, progredisce nella Chiesa» (DV 8). Invocando la Sua luce, il Popolo di Dio, partecipe della  funzione profetica di Cristo (cfr. LG 12), «cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e  nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri  segni della presenza o del disegno di Dio» (GS 11). Tale discernimento si avvale di tutti i doni di  saggezza che il Signore distribuisce nella Chiesa e si radica nel sensus fidei comunicato dallo Spirito  a tutti i Battezzati. In questo spirito si deve ricomprendere e riorientare la vita della Chiesa sinodale  missionaria.

82. Il discernimento ecclesiale non è una tecnica organizzativa, ma una pratica spirituale da  vivere nella fede. Esso richiede libertà interiore, umiltà, preghiera, fiducia reciproca, apertura alla  novità e abbandono alla volontà di Dio. Non è mai l’affermazione di un punto di vista personale o di  gruppo, né si risolve nella semplice somma di pareri individuali; ciascuno, parlando secondo  coscienza, si apre all’ascolto di ciò che altri in coscienza condividono, così da cercare insieme di  riconoscere «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7). Prevedendo l’apporto di tutte le persone  coinvolte, il discernimento ecclesiale è allo stesso tempo condizione ed espressione privilegiata della  sinodalità, in cui si vivono insieme comunione, missione e partecipazione. Il discernimento è tanto  più ricco, quanto più tutti sono ascoltati. Per questo è fondamentale promuovere un’ampia  partecipazione ai processi di discernimento, con una particolare cura per il coinvolgimento di coloro  che si trovano ai margini della comunità cristiana e della società. 

83. L’ascolto della Parola di Dio è il punto di partenza e il criterio di ogni discernimento  ecclesiale. Le Sacre Scritture, infatti, attestano che Dio ha parlato al Suo Popolo, fino a darci in Gesù  la pienezza di tutta la Rivelazione (cfr. DV 2), e indicano i luoghi in cui possiamo ascoltare la sua  voce. Dio comunica con noi anzitutto nella liturgia, perché è Cristo stesso che parla «quando nella  Chiesa si legge la Sacra Scrittura» (SC 7). Dio parla attraverso la Tradizione vivente della Chiesa, il  suo magistero, la meditazione personale e comunitaria delle Scritture e le pratiche della pietà  popolare. Dio continua a manifestarsi attraverso il grido dei poveri e gli eventi della storia  dell’umanità. Ancora, Dio comunica con il Suo Popolo attraverso gli elementi della creazione, la cui  stessa esistenza rimanda all’azione del Creatore e che è riempita dalla presenza dello Spirito che dà  la vita. Infine, Dio parla anche nella coscienza personale di ciascuno, che è «il nucleo più segreto e il  sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (GS  16). Il discernimento ecclesiale esige la continua cura e formazione delle coscienze e la maturazione  del sensus fidei, così da non trascurare nessuno dei luoghi in cui Dio parla e viene incontro al suo  Popolo. 

84. I passaggi del discernimento ecclesiale possono articolarsi in diversi modi, a seconda dei  luoghi e delle tradizioni. Anche sulla base dell’esperienza sinodale, è possibile identificare alcuni  elementi chiave che non dovrebbero mancare:  

a) la presentazione chiara dell’oggetto del discernimento e la messa a disposizione di informazioni  e strumenti adeguati per la sua comprensione;  

b) un tempo conveniente per prepararsi con la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e la  riflessione sul tema;  

c) una disposizione interiore di libertà rispetto ai propri interessi, personali e di gruppi, e  l’impegno per la ricerca del bene comune; 

d) un ascolto attento e rispettoso della parola di ciascuno;  

e) la ricerca di un consenso il più ampio possibile, che emergerà attraverso ciò che più “fa ardere  i cuori” (cfr. Lc 24,32), senza nascondere i conflitti e senza cercare compromessi al ribasso;  

f) la formulazione da parte di chi guida il processo del consenso raggiunto e la sua presentazione  a tutti i partecipanti, perché manifestino se vi si riconoscono o meno.  

Sulla base del discernimento, maturerà la decisione opportuna che impegna l’adesione di tutti, anche  quando il proprio parere non è stato accolto, e un tempo di recezione nella comunità, che potrà portare  a successive verifiche e valutazioni. 

85. Il discernimento si svolge sempre all’interno di un contesto concreto, di cui occorre  conoscere il meglio possibile le complessità e le peculiarità. Perché il discernimento sia  effettivamente “ecclesiale” occorre avvalersi dei mezzi necessari, fra i quali un’adeguata esegesi dei  testi biblici, tale da aiutare a interpretarli e a comprenderli evitando approcci parziali o  fondamentalistici; una conoscenza dei Padri della Chiesa, della Tradizione e degli insegnamenti  magisteriali, secondo il loro diverso grado di autorità; gli apporti delle diverse discipline teologiche;  i contributi delle scienze umane, storiche, sociali e amministrative, senza le quali non è possibile  conoscere seriamente il contesto nel quale e in vista del quale avviene il discernimento.  

86. Nella Chiesa esiste una grande varietà di approcci al discernimento e di metodologie  consolidate. Questa varietà è una ricchezza: con gli opportuni adattamenti ai diversi contesti, la  pluralità di approcci può rivelarsi feconda. In vista della comune missione, è importante che entrino  in un dialogo cordiale, senza disperdere le specificità di ciascuno e senza arroccamenti identitari.  Nelle Chiese locali, a partire dalle piccole comunità ecclesiali e dalle Parrocchie, è fondamentale  offrire opportunità di formazione che diffondano e alimentino una cultura del discernimento  ecclesiale per la missione, in particolare tra quanti ricoprono ruoli di responsabilità. Altrettanto  importante è curare la formazione di figure di accompagnatori o facilitatori, il cui apporto si rivela  assai spesso cruciale nello svolgimento dei processi di discernimento. 

L’articolazione dei processi decisionali 

87. Nella Chiesa sinodale «tutta la comunità, nella libera e ricca diversità dei suoi membri, è  convocata per pregare, ascoltare, analizzare, dialogare, discernere e consigliare nel prendere le  decisioni» (CTI, n. 68) per la missione. Favorire la più ampia partecipazione possibile di tutto il  Popolo di Dio ai processi decisionali è la via più efficace per promuovere una Chiesa sinodale. Se è  vero, infatti, che la sinodalità definisce il modus vivendi et operandi che qualifica la Chiesa, essa  indica al tempo stesso una pratica essenziale nel compimento della sua missione: discernere,  raggiungere il consenso, decidere attraverso l’esercizio delle diverse strutture e istituzioni di  sinodalità.  

88. La comunità dei discepoli convocata e inviata dal Signore non è un soggetto uniforme e  amorfo. È il Suo Corpo dalle molte e diverse membra, soggetto storico comunitario in cui accade  come «germe e inizio» il Regno di Dio a servizio del suo avvento in tutta la famiglia umana (cfr. LG  5). Già i Padri della Chiesa riflettono sulla natura comunionale della missione del Popolo di Dio  attraverso un triplice nihil sine: «niente senza il Vescovo» (S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai  Trallesi, 2.2), «niente senza il consiglio dei Presbiteri, niente senza il consenso del Popolo» (S.  Cipriano di Cartagine, Lettera 14.4) . Dove s’infrange questa logica del nihil sine si oscura l’identità  della Chiesa e se ne inibisce la missione. 

89. Si colloca in tale quadro di riferimento ecclesiologico l’impegno a promuovere la  partecipazione sulla base di una corresponsabilità differenziata. Ogni membro della comunità va  rispettato, valorizzando le sue capacità e i suoi doni in vista della decisione condivisa. Sono necessarie  forme di mediazione istituzionale più o meno articolate in rapporto all’ampiezza della comunità. Il  diritto vigente già prevede organismi di partecipazione a diversi livelli, di cui il documento si  occuperà più avanti. 

90. Per favorirne il funzionamento, pare opportuna una riflessione sull’articolazione dei  processi decisionali. Quest’ultima d’abitudine prevede una fase di elaborazione o istruzione «attraverso un lavoro comune di discernimento, consultazione e cooperazione» (CTI, n. 69), che  informa e sostiene la successiva presa di decisione, che spetta all’autorità competente. Fra le due fasi  non vi è competizione o contrasto, ma con la loro articolazione concorrono a che le decisioni prese  siano frutto dell’obbedienza da parte di tutti a ciò che Dio vuole per la Sua Chiesa. Occorre per questo  promuovere procedure che rendano effettiva la reciprocità tra l’assemblea e chi la presiede, in un  clima di apertura allo Spirito e vicendevole fiducia, alla ricerca di un consenso possibilmente  unanime. Il processo deve anche prevedere la fase dell’attuazione della decisione e quella della sua  valutazione, in cui le funzioni dei soggetti coinvolti tornano ad articolarsi con nuove modalità. 

91. Vi sono casi in cui già il diritto vigente prescrive che, prima di prendere una decisione,  l’autorità è obbligata a procedere a una consultazione. L’autorità pastorale ha il dovere di ascoltare  coloro che partecipano alla consultazione e, di conseguenza, non può più agire come se non li avesse  ascoltati. Non si discosterà, pertanto, dal frutto della consultazione, quando è concorde, senza una  ragione che risulti prevalente e che va opportunamente espressa (cfr. CIC, can. 127, § 2, 2°; CCEO  can. 934, § 2, 3°). Come in ogni comunità che vive secondo giustizia, nella Chiesa l’esercizio  dell’autorità non consiste nell’imposizione di una volontà arbitraria. Nei vari modi in cui viene  esercitata, è sempre a servizio della comunione e dell’accoglienza della verità di Cristo, nella quale e  verso la quale lo Spirito Santo ci guida nei diversi tempi e contesti (cfr. Gv 14,16). 

92. In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e  del Vescovo di Roma è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita  da Cristo a servizio dell’unità e del rispetto della legittima diversità (cfr. LG 13). Tuttavia, non è  incondizionata: un orientamento che emerga nel processo consultivo come esito di un corretto  discernimento, soprattutto se compiuto dagli organismi di partecipazione, non può essere ignorato.  Risulta dunque inadeguata una contrapposizione tra consultazione e deliberazione: nella Chiesa la  deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che decide in virtù del suo  ufficio. Per questa ragione la formula ricorrente nel Codice di diritto canonico, che parla di voto  “solamente consultivo” (tantum consultivum), deve essere riesaminata per eliminare possibili  ambiguità. Appare quindi opportuna una revisione della normativa canonica in chiave sinodale, che  chiarisca tanto la distinzione quanto l’articolazione tra consultivo e deliberativo e illumini le  responsabilità di coloro che nelle diverse funzioni prendono parte ai processi decisionali. 

93. La cura per l’ordinato svolgimento e una chiara assunzione della responsabilità dei  partecipanti sono fattori cruciali per la fecondità dei processi decisionali nelle modalità qui  prospettate: 

a) spetta in particolare all’autorità: definire con chiarezza l’oggetto della consultazione e della  deliberazione, nonché il soggetto a cui compete l’assunzione della decisione; identificare coloro  che devono essere consultati, anche in ragione di competenze specifiche o del coinvolgimento  nella questione; fare in modo che tutti i partecipanti abbiano effettivo accesso alle informazioni  rilevanti, in modo da poter formulare il proprio parere a ragion veduta; 

b) coloro che esprimono il proprio parere in una consultazione, singolarmente o come membri di  un organo collegiale, si assumono la responsabilità di: offrire un parere sincero e onesto, in  scienza e coscienza; rispettare la confidenzialità delle informazioni ricevute; offrire una  formulazione chiara del proprio avviso, identificandone i punti principali, in modo che  l’autorità, qualora dovesse decidere in modo difforme dal parere ricevuto, possa spiegare come  ne ha tenuto conto nella sua deliberazione;

c) una volta che l’autorità competente ha formulato la decisione, avendo rispettato il processo di  consultazione e chiaramente espresso le motivazioni della stessa, tutti, in ragione del vincolo di  comunione che unisce i Battezzati, sono tenuti a rispettarla e metterla in atto, anche quando non  corrisponde al proprio punto di vista, fatto salvo il dovere di partecipare con onestà anche alla  fase della valutazione. Resta sempre possibile fare appello all’autorità superiore, nei modi  stabiliti dal diritto. 

94. Una corretta e risoluta attuazione sinodale dei processi decisionali contribuirà al progresso  del Popolo di Dio in una prospettiva partecipativa, in particolare attraverso le mediazioni istituzionali  previste dal diritto canonico, in particolare gli organismi di partecipazione. Senza cambiamenti  concreti a breve termine, la visione di una Chiesa sinodale non sarà credibile e questo allontanerà  quei membri del Popolo di Dio che dal cammino sinodale hanno tratto forza e speranza. Spetta alle  Chiese locali trovare modalità appropriate per dare attuazione a questi cambiamenti. 

Trasparenza, rendiconto, valutazione  

95. La presa di decisione non conclude il processo decisionale. Esso va accompagnato e seguito  da pratiche di rendiconto e valutazione, in uno spirito di trasparenza ispirata da criteri evangelici.  Rendere conto del proprio ministero alla comunità appartiene alla tradizione più antica, risalente alla  Chiesa apostolica. Ce ne offre un esempio il cap. 11 degli Atti degli Apostoli: quando Pietro rientra a  Gerusalemme dopo aver battezzato Cornelio, un pagano, «i fedeli circoncisi lo rimproveravano  dicendo: “Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!”» (At 11,2- 3). Pietro risponde con un racconto che rende conto delle ragioni del suo operato.  

96. In particolare, per quanto riguarda la trasparenza, è emersa la necessità di illuminarne il  significato collegandola a una serie di termini come verità, lealtà, chiarezza, onestà, integrità,  coerenza, rifiuto dell’opacità, dell’ipocrisia e dell’ambiguità, assenza di secondi fini. Sono stati  richiamati la beatitudine evangelica dei puri di cuore (cfr. Mt 5,8), il comando di essere «semplici  come le colombe» (Mt 10,16), e le parole dell’apostolo Paolo: «abbiamo rifiutato le dissimulazioni  vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunciando  apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio» (2Cor 4,2).  Si fa dunque riferimento a un atteggiamento di fondo, radicato nella Scrittura, piuttosto che a una  serie di procedure o requisiti di tipo amministrativo o gestionale. La trasparenza, nel suo corretto  senso evangelico, non compromette il rispetto della riservatezza e della confidenzialità, la tutela delle  persone, della loro dignità e dei loro diritti anche nei confronti di pretese indebite dell’autorità civile.  Tutto questo però non potrà mai giustificare pratiche contrarie al Vangelo o diventare un pretesto per  aggirare o insabbiare azioni di contrasto al male. In ogni caso, per quanto riguarda il segreto  confessionale «il sigillo sacramentale è indispensabile e nessun potere umano ha giurisdizione, né  può rivendicarla su di esso» (Francesco, Discorso ai Partecipanti al XXX Corso sul Foro Interno  organizzato dalle Penitenzieria Apostolica, 29 marzo 2019). 

97. L’atteggiamento della trasparenza, nel senso appena indicato, costituisce un presidio di  quella fiducia e credibilità di cui una Chiesa sinodale, attenta alle relazioni, non può fare a meno.  Quando la fiducia viene violata, a patirne le conseguenze sono le persone più deboli e vulnerabili.  Dove la Chiesa gode di fiducia, pratiche di trasparenza, rendiconto e valutazione contribuiscono a  consolidarla, e sono un elemento ancora più critico dove la credibilità della Chiesa deve essere  ricostruita. Questo è particolarmente importante nella tutela dei minori e delle persone vulnerabili  (safeguarding). 

98. In ogni caso, queste pratiche contribuiscono ad assicurare la fedeltà della Chiesa alla propria  missione. La loro mancanza è una delle conseguenze del clericalismo e allo stesso tempo lo alimenta.  Esso si fonda sull’assunto implicito che coloro che hanno autorità nella Chiesa non debbano rendere  conto delle loro azioni e delle loro decisioni, come se fossero isolati o al di sopra del resto del Popolo  di Dio. Non si deve fare appello a trasparenza e rendiconto solo quando si tratta di abusi sessuali,  finanziari e di altro genere. Essa riguarda anche lo stile di vita dei Pastori, i piani pastorali, i metodi  di evangelizzazione e le modalità con cui la Chiesa rispetta la dignità della persona umana, ad esempio  per quanto riguarda le condizioni di lavoro all’interno delle sue istituzioni. 

99. Se la Chiesa sinodale vuole essere accogliente, il rendiconto deve diventare pratica consueta  a tutti i livelli. Tuttavia, chi ricopre ruoli di autorità ha una responsabilità maggiore a riguardo ed è  chiamato a renderne conto a Dio e al Suo Popolo. Se nel corso dei secoli si è conservata la pratica del  rendere conto ai superiori, va recuperata la dimensione del rendiconto che l’autorità è chiamata a dare  alla comunità. Le istituzioni e le procedure consolidate nell’esperienza della vita consacrata (come i  capitoli, le visite canoniche, ecc.), possono essere una fonte di ispirazione a questo riguardo. 

100. Ugualmente appaiono necessarie strutture e forme di valutazione regolare del modo in cui  sono esercitate le responsabilità ministeriali di ogni genere. La valutazione non costituisce un giudizio  sulle persone: essa permette piuttosto di mettere in luce gli aspetti positivi e le aree di possibile  miglioramento dell’agire di chi ha responsabilità ministeriali e aiuta la Chiesa a imparare  dall’esperienza, a ricalibrare i piani di azione e a rimanere attenta alla voce dello Spirito Santo,  focalizzando l’attenzione sui risultati delle decisioni in rapporto alla missione. 

101. Oltre a osservare quanto già previsto dalle norme canoniche in materia di criteri e  meccanismi di controllo, compete alle Chiese locali, e soprattutto ai loro raggruppamenti, costruire  in modo sinodale forme e procedure efficaci di rendiconto e valutazione, appropriate alla varietà dei  contesti, a partire dal quadro normativo civile, dalle legittime attese della società e dalle effettive  disponibilità di competenze in materia. In questo lavoro occorre privilegiare metodologie di  valutazione partecipativa, valorizzare le competenze di quanti, in particolare Laici, hanno maggiori  dimestichezze con i processi di rendiconto e valutazione e operare un discernimento delle buone  pratiche già presenti nella società civile locale, adattandole ai contesti ecclesiali. Il modo in cui a  livello locale sono attuati i processi di rendiconto e valutazione rientrino nell’ambito della relazione  presentata in occasione delle visite ad limina

102. In particolare, in forme appropriate ai diversi contesti, pare necessario garantire quanto  meno:  

a) un effettivo funzionamento dei Consigli degli affari economici;  

b) il coinvolgimento effettivo del Popolo di Dio, in particolare dei membri più competenti, nella  pianificazione pastorale ed economica;  

c) la predisposizione e la pubblicazione (appropriata al contesto locale e con effettiva accessibilità)  di un rendiconto economico annuale, per quanto possibile certificato da revisori esterni, che  renda trasparente la gestione dei beni e delle risorse finanziarie della Chiesa e delle sue  istituzioni;  

d) la predisposizione e la pubblicazione di un rendiconto annuale sullo svolgimento della  missione, che comprenda anche una illustrazione delle iniziative intraprese in materia di  safeguarding (tutela dei minori e delle persone vulnerabili) e di promozione dell’accesso di persone laiche a posizioni di autorità e della loro partecipazione ai processi decisionali,  specificando la proporzione in rapporto al genere;  

e) procedure di valutazione periodica dello svolgimento di tutti i ministeri e incarichi all’interno  della Chiesa.  

Abbiamo bisogno di renderci conto che non si tratta di un impegno burocratico fine a sé stesso, ma  di uno sforzo comunicativo che si rivela un potente mezzo educativo in vista del cambiamento della  cultura, oltre a permettere di dare maggiore visibilità a molte iniziative di valore che fanno capo alla  Chiesa e alle sue istituzioni, che restano troppo spesso nascoste.  

Sinodalità e organismi di partecipazione 

103. La partecipazione dei Battezzati ai processi decisionali, così come le pratiche di rendiconto  e valutazione si svolgono attraverso mediazioni istituzionali, innanzi tutto gli organismi di  partecipazione che a livello di Chiesa locale il diritto canonico già prevede. Nella Chiesa latina si  tratta di: Sinodo diocesano (cfr. CIC, can. 466), Consiglio presbiterale (cfr. CIC, can. 500, § 2),  Consiglio pastorale diocesano (cfr. CIC, can. 514, § 1), Consiglio pastorale parrocchiale ((cfr. CIC,  can. 536), Consiglio diocesano e parrocchiale per gli affari economico (cfr. CIC, cann. 493 e 537).  Nelle Chiese orientali cattoliche si tratta di: Assemblea eparchiale (cfr. CCEO, can. 235 ss.),  Consiglio eparchiale per gli affari economici (cfr. CCEO, can. 262 ss.), Consiglio presbiterale (CCEO  can. 264), Consiglio pastorale eparchiale (CCEO can. 272. ss.), Consigli parrocchiali (cfr. CCEO can.  295). I componenti ne fanno parte sulla base del proprio ruolo ecclesiale secondo le loro  responsabilità differenziate a vario titolo (carismi, ministeri, esperienza o competenza, ecc.). Ognuno  di questi organismi partecipa al discernimento necessario per l’annuncio inculturato del Vangelo, la  missione della comunità nel proprio ambiente e la testimonianza dei Battezzati che la compongono.  Concorre inoltre ai processi decisionali nelle forme stabilite e costituisce un ambito per la  rendicontazione e la valutazione, dovendo a sua volta valutare e rendere conto del proprio operato.  Gli organismi di partecipazione costituiscono uno degli ambiti più promettenti su cui agire per una  rapida attuazione degli orientamenti sinodali, che conduca a cambiamenti percepibili in modo rapido. 

104. Una Chiesa sinodale si basa sull’esistenza, sull’efficienza e sulla vitalità effettiva, e non  solo nominale, di questi organismi di partecipazione, nonché sul loro funzionamento in conformità  alle disposizioni canoniche o alle legittime consuetudini e sul rispetto degli statuti e dei regolamenti  che li disciplinano. Per questa ragione siano resi obbligatori, come richiesto in tutte le tappe del  processo sinodale, e possano svolgere pienamente il loro ruolo, non in modo puramente formale, in  forma appropriata ai diversi contesti locali.  

105. Inoltre risulta opportuno intervenire sul funzionamento di questi organismi, a partire  dall’adozione di una metodologia di lavoro sinodale. La conversazione nello Spirito, con opportuni  adattamenti, può costituire un punto di riferimento. Particolare attenzione va prestata alle modalità di  designazione dei membri. Quando non è prevista l’elezione, si attui una consultazione sinodale che  esprima il più possibile la realtà della comunità o della Chiesa locale e l’autorità proceda alla nomina  sulla base dei suoi esiti, rispettando l’articolazione tra consultazione e deliberazione sopra descritta.  Occorre anche prevedere che i componenti dei Consigli pastorali diocesani e parrocchiali abbiano la  facoltà di proporre temi da inserire all’ordine del giorno, in analogia con quanto accade per i  componenti del Consiglio presbiterale.

106. Uguale attenzione richiede la composizione degli organismi di partecipazione, in modo da  favorire un maggiore coinvolgimento delle donne, dei giovani e di coloro che vivono in condizioni di  povertà o emarginazione. Inoltre, è fondamentale che in questi organismi siedano Battezzati impegnati  nella testimonianza della fede nelle ordinarie realtà della vita e nelle dinamiche sociali, con una  riconosciuta disposizione apostolica e missionaria, non solo persone impegnate nell’organizzazione  della vita e dei servizi interni alla comunità. In questo modo il discernimento ecclesiale beneficerà di  una maggiore apertura, capacità di analisi della realtà e pluralità di prospettive. Sulla base delle necessità  dei diversi contesti, potrà essere opportuno prevedere la partecipazione di rappresentati di altre Chiese  e Comunioni cristiane, in analogia a quanto accade nell’Assemblea sinodale, o dei rappresentanti di  altre religioni presenti sul territorio. Le Chiese locali e i loro raggruppamenti possono più facilmente  indicare alcuni criteri per la composizione degli organismi di partecipazione appropriati a ciascun  contesto. 

107. L’Assemblea ha prestato particolare attenzione alle esperienze di riforma e buone pratiche  già in atto, come la creazione di reti di Consigli pastorali a livello di comunità di base, Parrocchie e  zone, fino al Consiglio pastorale diocesano. Come modello di consultazione e ascolto, si propone  inoltre lo svolgimento con una certa regolarità di assemblee ecclesiali a tutti i livelli, cercando di non  limitare la consultazione all’interno della Chiesa Cattolica, ma aprendosi all’ascolto del contributo di  altre Chiese e Comunioni cristiane e rimanendo attenti alle religioni sul territorio. 

108. L’Assemblea propone che il Sinodo diocesano e l’Assemblea eparchiale siano  maggiormente valorizzati come organo per la regolare consultazione da parte del Vescovo della  porzione del Popolo di Dio che gli è affidata, come luogo di ascolto, di preghiera, di discernimento,  in particolare quando si tratta di scelte rilevanti per la vita e la missione di una Chiesa locale. Il Sinodo  diocesano può anche costituire un ambito di esercizio di rendiconto e valutazione: ad esso il Vescovo  presenta un resoconto dell’attività pastorale nei diversi settori, dell’attuazione del piano pastorale,  della recezione dei processi sinodali della Chiesa intera, delle iniziative in materia di safeguarding,  oltre che dell’amministrazione delle finanze e dei beni temporali. Si richiede perciò il rafforzamento  delle disposizioni canoniche in materia, in modo da riflettere meglio il carattere sinodale missionario  di ogni Chiesa locale, prevedendo che i Sinodi diocesani e le Assemblee eparchiali si riuniscano con  cadenza regolare non eccessivamente rarefatta. 

Parte IV – Una pesca abbondante 

La conversione dei legami 

Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci  […] Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di  centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò (Gv  21,8.11) 

109. Le reti gettate sulla parola del Risorto hanno consentito una pesca abbondante. Tutti  collaborano nel trascinare la rete, Pietro ha un ruolo particolare. Nel Vangelo la pesca è un’azione  svolta insieme: ognuno ha un compito preciso, diverso ma coordinato con quello degli altri. Così è la Chiesa sinodale, fatta di legami che uniscono nella comunione e di spazi per la varietà di ogni popolo  e di ogni cultura. In un tempo in cui cambia l’esperienza dei luoghi in cui la Chiesa è radicata e  pellegrina, occorre coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci  uniscono, sostenuti dal ministero dei Vescovi in comunione tra loro e con il Vescovo di Roma. 

Radicati e pellegrini 

110. L’annuncio del Vangelo, risvegliando la fede nei cuori degli uomini e delle donne, porta  alla fondazione di una Chiesa in un luogo particolare. La Chiesa non può essere compresa senza il  radicamento in un territorio concreto, in uno spazio e in un tempo dove si forma un’esperienza  condivisa di incontro con Dio che salva. La dimensione locale della Chiesa preserva la ricca diversità  delle espressioni di fede radicate in specifici contesti culturali e storici e la comunione delle Chiese  manifesta la comunione dei Fedeli all’interno dell’unica Chiesa. La conversione sinodale invita in  questo modo ogni persona ad allargare lo spazio del proprio cuore, il primo “luogo” in cui risuonano  tutte le nostre relazioni, radicate nel rapporto personale di ciascuno con Cristo Gesù e la Sua Chiesa.  È questa la sorgente e la condizione per ogni riforma in chiave sinodale dei legami di appartenenza e  dei luoghi ecclesiali. L’azione pastorale non può limitarsi a curare le relazioni fra persone che si  sentono già tra loro in sintonia, ma deve favorire l’incontro con ogni uomo e ogni donna.  

111. L’esperienza del radicamento deve fare i conti con profondi cambiamenti socioculturali  che stanno modificando la percezione dei luoghi. Il concetto di luogo non può più essere inteso in  termini puramente geografici e spaziali, ma evoca nel nostro tempo l’appartenenza a una rete di  relazioni e a una cultura le cui radici territoriali sono più dinamiche e flessibili che mai.  L’urbanizzazione è uno dei principali fattori di questo cambiamento: oggi, per la prima volta nella  storia dell’umanità, la maggior parte della popolazione mondiale vive in contesti urbani. Le grandi  città sono spesso agglomerati umani senza storia e senza identità in cui le persone vivono come isole.  I tradizionali legami territoriali cambiano significato, rendendo i confini di Parrocchie e Diocesi meno  definiti. La Chiesa è chiamata a vivere in questi contesti, ricostruendo la vita comunitaria, donando  un volto a realtà anonime e intrecciando relazioni fraterne. A tal fine, oltre a valorizzare le strutture  che si rivelano ancora idonee, è necessaria una creatività missionaria che esplori nuove forme di  pastorale e individui percorsi concreti di cura. Resta comunque vero che le realtà rurali, alcune delle  quali sono vere periferie esistenziali, non vanno trascurate e richiedono un’attenzione pastorale  specifica, così come i luoghi dell’emarginazione e dell’esclusione.  

112. I nostri tempi sono caratterizzati anche dall’aumento della mobilità umana, motivato da  varie ragioni. Rifugiati e migranti spesso formano comunità dinamiche, anche nelle loro pratiche  religiose, rendendo multiculturale il luogo in cui si stabiliscono. Alcuni tra loro mantengono stretti  legami con i Paesi d’origine, soprattutto grazie ai media digitali, e sperimentano una difficoltà a  tessere legami nel nuovo Paese; altri rimangono senza radici. Anche gli abitanti dei luoghi  d’immigrazione sono messi in discussione dall’accoglienza di chi arriva. Tutti sperimentano l’impatto  provocato dall’incontro con la diversità di provenienza geografica, culturale e linguistica e sono  chiamati a costruire comunità interculturali. Non va trascurato l’impatto dei fenomeni migratori sulla  vita delle Chiese. Emblematica è in questo senso la situazione di alcune Chiese cattoliche orientali,  per il crescente numero di Fedeli in diaspora; si richiedono nuovi approcci perché siano mantenuti i  legami con la propria Chiesa d’origine, e se ne creino di nuovi, nel rispetto delle diverse radici  spirituali e culturali. 

113. Anche la diffusione della cultura digitale, particolarmente evidente tra i giovani, sta  cambiando profondamente la percezione dello spazio e del tempo, influenzando le attività quotidiane,  le comunicazioni e le relazioni interpersonali, inclusa la fede. Le possibilità che la rete offre  riconfigurano relazioni, legami e frontiere. Sebbene oggi si sia più connessi che mai, spesso si  sperimenta solitudine ed emarginazione. I social media, inoltre, possono essere utilizzati da portatori  di interessi economici e politici che, manipolando le persone, divulgano ideologie e generano  polarizzazioni aggressive. Questa realtà ci trova impreparati e richiede la scelta di dedicare risorse  perché l’ambiente digitale sia un luogo profetico di missione e di annuncio. Le Chiese locali  incoraggino, sostengano e accompagnino coloro che sono impegnati nella missione nell’ambiente  digitale. Anche le comunità e i gruppi digitali cristiani, in particolare di giovani, sono chiamati a  riflettere sul modo in cui creano legami di appartenenza, promuovono l’incontro e il dialogo, offrono  formazione tra pari, sviluppando una modalità sinodale di essere Chiesa. La rete, costituita da  connessioni, offre nuove opportunità per vivere meglio la dimensione sinodale della Chiesa. 

114. Questi sviluppi sociali e culturali chiedono alla Chiesa di ripensare il significato della sua  dimensione “locale” e di mettere in discussione le sue forme organizzative, al fine di servire meglio  la sua missione. Pur riconoscendo il valore del radicamento in contesti geografici e culturali concreti,  è indispensabile comprendere il “luogo” come la realtà storica in cui l’esperienza umana prende  forma. È lì, nella trama delle relazioni che vi si instaurano, che la Chiesa è chiamata a esprimere la  propria sacramentalità (cfr. LG 1) e a svolgere la propria missione.  

115. Il rapporto tra luogo e spazio suggerisce anche una riflessione sulla Chiesa come “casa”.  Quando non è intesa come spazio chiuso, inaccessibile, da difendere a tutti i costi, l’immagine della  casa evoca possibilità di accoglienza, di ospitalità e inclusione. Il creato stesso è casa comune, nella  quale i membri dell’unica famiglia umana vivono con tutte le altre creature. Il nostro impegno,  sorretto dallo Spirito, è far sì che la Chiesa sia percepita come casa accogliente, sacramento di  incontro e di salvezza, scuola di comunione per tutti i figli e le figlie di Dio. La Chiesa è anche Popolo  di Dio in cammino con Cristo, al cui interno ognuno è chiamato a essere pellegrino di speranza. Ne  sono segno la pratica tradizionale dei pellegrinaggi. La pietà popolare è uno dei luoghi di una Chiesa  sinodale missionaria. 

116. La Chiesa locale, intesa come Diocesi o Eparchia, è l’ambito fondamentale in cui la  comunione in Cristo dei Battezzati si manifesta nel modo più pieno. In essa la comunità è radunata  nella celebrazione dell’Eucaristia presieduta dal Vescovo. Ogni Chiesa locale è articolata al suo  interno e, allo stesso tempo, è in relazione con le altre Chiese locali. 

117. Una delle principali articolazioni della Chiesa locale che la storia ci consegna è la  Parrocchia. La comunità parrocchiale, che si incontra nella celebrazione dell’Eucaristia, è luogo  privilegiato di relazioni, accoglienza, discernimento e missione. I cambiamenti nella concezione e nel  modo di vivere il rapporto con il territorio chiedono di ricomprenderne la configurazione. Ciò che la  caratterizza è essere una proposta di comunità su base non elettiva. Vi si radunano persone di diversa  generazione, professione, provenienza geografica, classe sociale e condizione di vita. Per rispondere  alle nuove esigenze della missione è chiamata ad aprirsi a forme inedite di azione pastorale che  tengano conto della mobilità delle persone e del “territorio esistenziale” in cui si sviluppa la loro vita.  Promuovendo in modo particolare l’Iniziazione Cristiana e offrendo accompagnamento e formazione,  sarà capace di sostenere le persone nelle diverse fasi della vita e nel compimento della loro missione  nel mondo. Apparirà così più chiaramente che la Parrocchia non è centrata su sé stessa, ma orientata  alla missione e chiamata a sostenere l’impegno di tante persone che in modi diversi vivono e testimoniano la loro fede nella professione e nell’attività sociale, culturale, politica. In molte regioni  del mondo le piccole comunità cristiane o comunità ecclesiali di base sono il terreno su cui possono  fiorire intense relazioni di prossimità e reciprocità, offrendo l’occasione di vivere concretamente la  sinodalità. 

118. Riconosciamo agli Istituti di Vita Consacrata, alle Società di Vita Apostolica, così come  ad Associazioni, Movimenti e nuove Comunità, la capacità di radicarsi nel territorio e al tempo stesso  di collegare luoghi e ambiti diversi, anche a livello nazionale o internazionale. Spesso è la loro azione,  assieme a quella di tante singole persone e gruppi informali, a portare il Vangelo nei luoghi più  diversi: ospedali, carceri, case per anziani, centri di accoglienza per migranti, minori, emarginati e  vittime della violenza; luoghi educativi e di formazione, scuole e università, in cui si incontrano  giovani e famiglie; luoghi della cultura, della politica e dello sviluppo umano integrale dove si  immaginano e si costruiscono nuove forme di vivere insieme. Guardiamo con gratitudine anche i  monasteri, luoghi di convocazione e di discernimento, profezia di un “oltre”, che riguarda tutta la  Chiesa e ne orienta il cammino. È responsabilità specifica del Vescovo diocesano o eparchiale  animare questa molteplicità e curare i legami di unità. Istituti e aggregazioni sono chiamati ad agire  in sinergia con la Chiesa locale, partecipando al dinamismo della sinodalità. 

119. Anche la valorizzazione dei luoghi “intermedi” tra Chiesa locale e Chiesa universale – come la Provincia ecclesiastica e i raggruppamenti di Chiese a base nazionale o continentale – può  favorire una più significativa presenza della Chiesa nei luoghi del nostro tempo. L’accresciuta  mobilità e le odierne interconnessioni rendono fluidi i confini tra le Chiese e spesso chiedono di  pensare e agire all’interno di un «vasto territorio socio-culturale», in cui, esclusa ogni forma di «falso  particolarismo», la vita cristiana sia «commisurata al genio e all’indole di ciascuna cultura» (AG 22).  

Scambio di doni 

120. Camminare insieme nei diversi luoghi come discepoli di Gesù nella diversità dei carismi  e dei ministeri, così come nello scambio di doni tra le Chiese, è segno efficace della presenza  dell’amore e della misericordia di Dio in Cristo che accompagna, sostiene e orienta nel soffio dello  Spirito Santo il cammino dell’umanità verso il Regno. Lo scambio di doni coinvolge tutte le  dimensioni della vita della Chiesa. Costituita in Cristo come il Popolo di Dio da tutti i popoli della  terra e articolata dinamicamente nella comunione delle Chiese locali, dei loro raggruppamenti, delle  Chiese sui iuris in seno alla Chiesa una e cattolica, essa vive la sua missione favorendo ed accogliendo  «tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che hanno di buono e accogliendole  le purifica, le consolida e le eleva» (LG 13). L’esortazione dell’apostolo Pietro – «da bravi  amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi metta a servizio degli altri il dono che  ha ricevuto» (1Pt 4,10) – si può senz’altro applicare a ciascuna Chiesa locale. Un esempio  paradigmatico e ispiratore di questo scambio di doni, che chiede oggi di essere vissuto e rivisitato con  particolare cura a causa delle mutate e pressanti circostanze storiche, è quello tra le Chiese di  tradizione latina e le Chiese orientali cattoliche. Un significativo orizzonte di novità e di speranza in  cui si possono realizzare forme di scambio dei doni, di ricerca del bene comune e di impegno  coordinato su questioni sociali di rilevanza globale è quello che va profilandosi, ad esempio, in grandi  ambiti geografici sovranazionali e interculturali come l’Amazzonia, il bacino del fiume Congo, il Mar  Mediterraneo. 

121. La Chiesa, a livello locale e nella sua unità cattolica, si propone come una rete di relazioni  attraverso cui circola ed è promossa la profezia della cultura dell’incontro, della giustizia sociale, dell’inclusione dei gruppi marginali, della fraternità tra i popoli, della cura della casa comune.  L’esercizio concreto di questa profezia chiede che i beni di ogni Chiesa siano condivisi in spirito di  solidarietà, senza paternalismo e assistenzialismo, nel rispetto delle diverse identità e nella promozione  di una sana reciprocità, con l’impegno – dove necessario – a curare le ferite della memoria e a  intraprendere cammini di riconciliazione. Lo scambio di doni e la condivisione delle risorse tra Chiese  locali di diverse regioni favoriscono l’unità della Chiesa, creando legami tra le comunità cristiane  coinvolte. Occorre mettere a fuoco le condizioni da garantire perché i Presbiteri che vengono in aiuto  alle Chiese povere di clero non siano solo un rimedio funzionale, ma una risorsa per la crescita della  Chiesa che li invia e di quella che li riceve. Analogamente occorre operare perché gli aiuti economici  non degenerino in assistenzialismo, ma promuovano solidarietà evangelica e siano gestiti in modo  trasparente e affidabile. 

122. Lo scambio dei doni ha un significato cruciale anche nel cammino verso la piena e visibile  unità tra tutte le Chiese e Comunioni cristiane e, del resto, rappresenta un segno efficace di  quell’unità, nella fede e nell’amore di Cristo, che promuove la credibilità e l’incidenza della missione  cristiana (cfr. Gv 17,21). San Giovanni Paolo II ha applicato questa espressione al dialogo ecumenico:  «Il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno “scambio di  doni”» (UUS 28). È stato nell’impegno a incarnare l’unico Vangelo nella diversità dei contesti  culturali, delle circostanze storiche e delle sfide sociali che le diverse tradizioni cristiane, in ascolto  della Parola di Dio e della voce dello Spirito Santo, hanno generato nel corso dei secoli frutti copiosi  di santità, di carità, di spiritualità, di teologia, di solidarietà a livello sociale e culturale. È venuto il  momento di fare tesoro di queste preziose ricchezze: con generosità, con sincerità, senza pregiudizi,  con gratitudine al Signore, con apertura reciproca, facendone dono gli uni agli altri senza presumere  che siano nostra esclusiva proprietà. Anche l’esempio dei santi e testimoni della fede di altre Chiese  e Comunioni cristiane è un dono che possiamo ricevere, inserendo la loro memoria nel nostro  calendario liturgico, in particolare per i martiri. 

123. Nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune,  sottoscritto da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmed Al-Tayyeb ad Abu Dhabi il 4  febbraio 2019, si dichiara la volontà di «adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione  comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio». Non si tratta di  un’aspirazione velleitaria o di un aspetto opzionale nel cammino del Popolo di Dio nell’oggi della  storia. Su questa strada una Chiesa sinodale s’impegna a camminare, nei diversi luoghi in cui vive,  con i credenti di altre religioni e con le persone di altre convinzioni, condividendo gratuitamente la  gioia del Vangelo e accogliendo con gratitudine i loro rispettivi doni: per costruire insieme, da fratelli  e sorelle tutti, in spirito di mutuo scambio e aiuto (cfr. GS 40), la giustizia, la fraternità, la pace e il  dialogo interreligioso. In alcune regioni, piccole comunità di vicinato, in cui le persone si incontrano  a prescindere dall’appartenenza religiosa, offrono un ambiente propizio per un triplice dialogo: della  vita, dell’azione e della preghiera. 

Legami per l’unità: Conferenze episcopali e Assemblee ecclesiali 

124. L’orizzonte della comunione nello scambio dei doni è il criterio ispiratore delle relazioni  tra le Chiese. Esso coniuga l’attenzione ai legami che formano l’unità di tutta la Chiesa con il  riconoscimento e l’apprezzamento delle particolarità legate al contesto in cui vive ogni Chiesa locale,  con la sua storia e la sua tradizione. L’adozione di uno stile sinodale permette alle Chiese di muoversi  con ritmi diversi. Le differenze di ritmo possono essere valorizzate come espressione di una legittima diversità e come opportunità di scambio di doni e di arricchimento reciproco. Questo orizzonte  comune richiede di discernere, identificare e promuovere strutture e pratiche concrete per essere una  Chiesa sinodale in missione. 

125. Le Conferenze Episcopali esprimono e realizzano la collegialità dei Vescovi per favorire  la comunione tra le Chiese e rispondere in modo più efficace ai bisogni della vita pastorale. Sono uno  strumento fondamentale per creare legami, condividere esperienze e buone pratiche tra le Chiese,  adattare la vita cristiana e l’espressione della fede alle diverse culture. Hanno anche un ruolo  importante nello sviluppo della sinodalità, con il coinvolgimento dell’intero Popolo di Dio. Sulla base  di quanto emerso durante il processo sinodale, si propone:  

a) di raccogliere i frutti della riflessione sullo statuto teologico e giuridico delle Conferenze  episcopali; 

b) di precisare l’ambito della competenza dottrinale e disciplinare delle Conferenze Episcopali.  Senza compromettere l’autorità del Vescovo nella Chiesa a lui affidata né mettere a rischio  l’unità e la cattolicità della Chiesa, l’esercizio collegiale di tale competenza può favorire  l’insegnamento autentico dell’unica fede in un modo adeguato e inculturato nei diversi contesti,  individuando le opportune espressioni liturgiche, catechetiche, disciplinari, pastorali,  teologiche e spirituali (cfr. AG 22); 

c) di procedere a una valutazione dell’esperienza del reale funzionamento delle Conferenze  episcopali, dei rapporti tra gli episcopati e con la Santa Sede, per individuare le riforme concrete  da attuare. Le visite ad limina Apostolorum potranno essere un’occasione propizia per tale  valutazione; 

d) di fare in modo che tutte le Diocesi siano parte di una Provincia ecclesiastica e di una  Conferenza episcopale (cfr. CD 40); 

e) di specificare il vincolo ecclesiale che le decisioni prese da una Conferenza episcopale  generano, rispetto alla propria Diocesi, per ciascun Vescovo che ha partecipato a quelle stesse  decisioni; 

126. Nel processo sinodale le sette Assemblee ecclesiali continentali, svoltesi a inizio 2023,  hanno rappresentato una novità rilevante e sono un’eredità da valorizzare come modo efficace di  attuare l’insegnamento conciliare sul valore «di ogni grande territorio socio-culturale» nella ricerca  di «una più profonda sistemazione di tutto l’ambito della vita cristiana» (AG 22). Occorrerà chiarirne  meglio lo statuto teologico e canonico, così come quello dei raggruppamenti continentali di  Conferenze Episcopali, per poterne mettere a frutto le potenzialità per l’ulteriore sviluppo di una  Chiesa sinodale. Compete in particolare ai Presidenti dei raggruppamenti continentali di Conferenze  episcopale incoraggiare e sostenere la prosecuzione di questa esperienza. 

127. Nelle Assemblee ecclesiali (regionali, nazionali, continentali) i membri, che esprimono e  rappresentano la varietà del Popolo di Dio (Vescovi compresi), partecipano al discernimento che  permetterà ai Vescovi, collegialmente, di assumere le decisioni alle quali sono tenuti in forza del  ministero loro affidato. Questa esperienza mostra come la sinodalità permette di articolare  concretamente il coinvolgimento di tutti (il santo Popolo di Dio) e il ministero di alcuni (il collegio  dei Vescovi) nel processo delle decisioni relative alla missione della Chiesa. Si propone che il  discernimento possa includere, in forme adeguate alla diversità dei contesti, spazi di ascolto e di  dialogo con gli altri cristiani, i rappresentanti di altre religioni, le istituzioni pubbliche, le organizzazioni della società civile e la società nel suo complesso.  

128. A causa di particolari situazioni sociali e politiche, alcune Conferenze episcopali hanno  difficoltà nel partecipare ad Assemblee continentali o organismi ecclesiali sovra-nazionali. Sarà cura  della Santa Sede aiutarle queste Conferenze episcopali, promuovendo il dialogo e la reciproca fiducia  con gli Stati, perché sia data loro la possibilità di entrare in relazione con altre Conferenze episcopali,  nella prospettiva dello scambio dei doni. 

129. Per realizzare una «salutare “decentralizzazione”» (EG 16) e un’efficace inculturazione  della fede, è necessario non solo riconoscere il ruolo delle Conferenze episcopali, ma anche rivalutare  l’istituzione dei Concili particolari, sia provinciali che plenari, la cui celebrazione periodica è stata  un obbligo per gran parte della storia della Chiesa e che sono previsti dal diritto vigente  nell’ordinamento latino (cfr. CIC can. 439-446). Essi dovrebbero essere convocati periodicamente.  La procedura per il riconoscimento delle conclusioni dei Concili particolari da parte della Santa Sede  (recognitio) dovrebbe essere riformata, per incoraggiare la loro tempestiva pubblicazione, indicando  termini temporali precisi o, nel caso di questioni puramente pastorali o disciplinari (non riguardanti  direttamente questioni di fede, morale o disciplina sacramentale), introducendo una presunzione  giuridica, equivalente al consenso tacito. 

Il servizio del Vescovo di Roma 

130. Il processo sinodale ha aiutato a rivisitare alla luce della sinodalità anche i modi di esercizio  del ministero del Vescovo di Roma. La sinodalità, infatti, articola in modo sinfonico le dimensioni  comunitaria (“tutti”), collegiale (“alcuni”) e personale (“uno”) delle singole Chiese e dell’intera  Chiesa. In questa prospettiva, il ministero petrino del Papa risulta insito nella dinamica sinodale, così  come l’aspetto comunitario, che include tutto il Popolo di Dio, e la dimensione collegiale del  ministero episcopale (cfr. CTI, n. 64).  

131. Possiamo perciò comprendere la portata dell’affermazione conciliare secondo cui «nella  comunione ecclesiale esistono legittimamente le Chiese particolari, che godono di tradizioni proprie,  salvo restando il primato della cattedra di Pietro che presiede alla comunione universale della carità,  garantisce le legittime diversità e insieme vigila perché il particolare non solo non nuoccia all’unità,  ma anzi ne sia al servizio» (LG 13). Il Vescovo di Roma, principio e fondamento di unità della Chiesa  (cfr. LG 23), è il garante della sinodalità: a lui spetta convocare la Chiesa in Sinodo, presiederlo e  confermarne i risultati. Come successore di Pietro, ha un ruolo unico nel salvaguardare il deposito  della fede e della morale, assicurando che i processi sinodali siano fecondi per l’unità e la  testimonianza. Insieme al Vescovo di Roma, il Collegio episcopale ha un ruolo insostituibile nel  pascere la Chiesa tutta (cfr. LG 22-23) e nel promuovere la sinodalità in tutte le Chiese locali. 

132. In quanto garante dell’unità nella diversità, il Vescovo di Roma assicura la salvaguardia  dell’identità delle Chiese Orientali Cattoliche, nel rispetto delle loro secolari tradizioni teologiche,  canoniche, liturgiche, spirituali e pastorali. Queste Chiese sono dotate di proprie strutture sinodali  deliberative: Sinodo dei vescovi della Chiesa patriarcale e arcivescovile maggiore (cfr. CCEO c.  102. ss., 152), Concilio provinciale (cfr. CCEO can. 137), Consiglio dei Gerarchi (cfr. CCEO cc. 155,  § 1, 164 ss.), e, infine, Assemblee dei Gerarchi di diverse Chiese sui iuris (cfr. CCEO can. 322). In  quanto Chiese sui iuris in piena comunione con il Vescovo di Roma, esse conservano la loro identità  orientale e la loro autonomia. Nel quadro della sinodalità, è opportuno rivisitare insieme la storia per  sanare le ferite del passato e approfondire i modi in cui vivere la comunione, che comportino anche un adattamento nelle relazioni tra le Chiese Orientali Cattoliche e la Curia Romana. Le relazioni tra  Chiesa Latina e Chiese Orientali Cattoliche devono essere caratterizzate da uno scambio di doni, dalla  collaborazione e dall’arricchimento reciproco. 

133. Per incrementare tali relazioni, l’Assemblea sinodale propone di istituire un Consiglio dei  Patriarchi, Arcivescovi Maggiori e Metropoliti delle Chiese Orientali Cattoliche presieduto dal Papa,  che sia espressione di sinodalità e strumento per promuovere la comunione e la condivisione del  patrimonio liturgico, teologico, canonico e spirituale. L’esodo di molti Fedeli orientali in regioni di  rito latino rischia di compromettere la loro identità. Per affrontare questa situazione, andranno  elaborati strumenti e norme volti a rafforzare al massimo la collaborazione tra Chiesa latina e Chiese  Orientali Cattoliche. L’Assemblea sinodale raccomanda il dialogo sincero e la fraterna collaborazione  tra Vescovi latini e orientali, per assicurare una miglior assistenza pastorale per i Fedeli orientali  sprovvisti di Presbiteri di rito proprio e per garantire, con la giusta autonomia, il coinvolgimento dei  Vescovi orientali nelle Conferenze episcopali. Propone infine al Santo Padre di convocare un Sinodo  Speciale per promuovere il consolidamento e la rifioritura delle Chiese Orientali Cattoliche. 

134. La riflessione in merito all’esercizio del ministero petrino in chiave sinodale va condotta  nella prospettiva della «salutare “decentralizzazione”» (EG 16), sollecitata da Papa Francesco e  richiesta da molte Conferenze Episcopali. Nella formulazione che ne dà la Costituzione Apostolica  Praedicate Evangelium, essa comporta «di lasciare alla competenza dei Pastori la facoltà di risolvere  nell’esercizio del “loro proprio compito di maestri” e di Pastori le questioni che conoscono bene e  che non toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di comunione della Chiesa, sempre agendo con  quella corresponsabilità che è frutto ed espressione di quello specifico mysterium communionis che è  la Chiesa» (PE II, 2). Per procedere in questa direzione, si potrebbe individuare attraverso uno studio  teologico e canonico quali materie debbano essere riservate al Papa (reservatio papalis) e quali  possano essere restituite ai Vescovi nelle loro Chiese o raggruppamenti di Chiese, nella linea del  recente Motu Proprio Competentias quasdam decernere (15 febbraio 2022). Esso infatti assegna  «alcune competenze, circa disposizioni codiciali volte a garantire l’unità della disciplina della Chiesa  tutta, alla potestà esecutiva delle Chiese e delle istituzioni ecclesiali locali» sulla base della «dinamica  ecclesiale della comunione» (proemio). Anche l’elaborazione della normativa canonica da parte di  chi ne ha il compito e l’autorità nella Chiesa, dovrebbe avere stile sinodale e maturare come frutto di  un discernimento ecclesiale.  

135. La Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium ha configurato in senso sinodale e  missionario il servizio della Curia Romana, insistendo sul fatto che essa «non si colloca tra il Papa e  i Vescovi, piuttosto si pone al servizio di entrambi secondo le modalità che sono proprie della natura  di ciascuno» (PE I.8). La sua attuazione dovrà promuovere una maggiore collaborazione tra i  Dicasteri e favorire l’ascolto delle Chiese locali. Prima di pubblicare documenti normativi importanti,  i Dicasteri sono esortati ad avviare una consultazione delle Conferenze episcopali e degli organismi  corrispondenti delle Chiese Orientali Cattoliche. Nella logica della trasparenza e del rendiconto,  delineata precedentemente, potrebbero eventualmente essere previste forme di valutazione periodica  dell’operato della Curia. Tale valutazione, in prospettiva sinodale missionaria, potrebbe riguardare  anche i Rappresentanti pontifici. Le visite ad limina Apostolorum sono il momento più alto delle  relazioni dei Pastori delle Chiese locali con il Vescovo di Roma e con i suoi più stretti collaboratori  nella Curia Romana. Molti Vescovi desiderano che si riveda la forma in cui si realizzano, in modo da  renderle sempre di più occasioni di scambio aperto e ascolto reciproco. È importante per il bene della  Chiesa favorire la mutua conoscenza e i legami di comunione tra i membri del Collegio dei Cardinali, tenuto conto anche della loro diversità di provenienza e di cultura. La sinodalità deve ispirare la loro  collaborazione al ministero petrino e il loro discernimento collegiale nei Concistori ordinari e  straordinari. 

136. Tra i luoghi per praticare la sinodalità e la collegialità a livello della Chiesa tutta spicca  certamente il Sinodo dei Vescovi, che la Costituzione Apostolica Episcopalis communio ha  trasformato da evento puntuale a processo ecclesiale. Istituito da San Paolo VI come un’assemblea di  Vescovi convocata per partecipare, mediante il consiglio, alla sollecitudine del Romano Pontefice per  tutta la Chiesa, è ora, nella forma di un processo per fasi, espressione e strumento della relazione  costitutiva tra l’intero Popolo di Dio, il Collegio dei Vescovi e il Papa. L’intero Popolo santo di Dio,  i Vescovi a cui sono affidate le sue singole porzioni e il Vescovo di Roma partecipano infatti a pieno  titolo al processo sinodale, ciascuno secondo la propria funzione. Questa partecipazione è resa  manifesta dall’Assemblea sinodale riunita intorno al Papa, che, nella sua composizione, mostra la  cattolicità della Chiesa. In particolare, come ha spiegato Papa Francesco, la composizione di questa  XVI Assemblea Generale Ordinaria è «più che un fatto contingente. Essa esprime una modalità di  esercizio del ministero episcopale coerente con la Tradizione viva delle Chiese e con l’insegnamento  del Concilio Vaticano II» (Intervento alla Prima Congregazione Generale della Seconda Sessione  della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 2 ottobre 2024). Il Sinodo dei  Vescovi, conservando la sua natura episcopale, ha visto e potrà vedere anche in futuro nella  partecipazione di altri membri del Popolo di Dio «la forma che è chiamato ad assumere l’esercizio  dell’autorità episcopale in una Chiesa consapevole di essere costitutivamente relazionale e per questo  sinodale» (ibid.) per la missione. Nell’approfondimento dell’identità del Sinodo dei Vescovi, è  essenziale che nel processo sinodale e nelle Assemblee appaia e si realizzi concretamente  l’articolazione tra il coinvolgimento di tutti (il santo Popolo di Dio), il ministero di alcuni (il Collegio  dei Vescovi) e la presidenza di uno (il successore di Pietro). 

137. Tra i frutti più significativi del Sinodo 2021-2024 vi è l’intensità dello slancio ecumenico.  La necessità di trovare «una forma di esercizio del Primato che […] si apra a una situazione nuova»  (UUS 95) è una sfida fondamentale sia per una Chiesa sinodale missionaria che per l’unità dei  cristiani. Il Sinodo si rallegra della recente pubblicazione del Dicastero per la Promozione dell’Unità  dei Cristiani Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte  all’enciclica “Ut unum sint”, che offre spunti per un ulteriore approfondimento. Il documento mostra  che la promozione dell’unità dei cristiani è un aspetto essenziale del ministero del Vescovo di Roma  e che il cammino ecumenico ne ha favorito una comprensione più approfondita. Le proposte concrete  che esso contiene circa una rilettura o un commento ufficiale delle definizioni dogmatiche del  Concilio Vaticano I sul primato, una più chiara distinzione tra le diverse responsabilità del Papa, la  promozione della sinodalità e la ricerca di un modello di unità basato su un’ecclesiologia di  comunione, offrono prospettive promettenti per il cammino ecumenico. L’Assemblea sinodale  auspica che questo documento serva da base per ulteriori riflessioni con gli altri cristiani,  «evidentemente insieme», sull’esercizio del ministero di unità del Vescovo di Roma come «un  servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri» (UUS 95). 

138. La ricchezza rappresentata dalla partecipazione dei Delegati fraterni, provenienti da altre  Chiese e Comunioni cristiane, all’Assemblea sinodale ci invita a prestare più attenzione alle pratiche  sinodali dei nostri partner ecumenici, sia in Oriente che in Occidente. Il dialogo ecumenico è  fondamentale per sviluppare la comprensione della sinodalità e dell’unità della Chiesa. Esso ci spinge  a immaginare pratiche sinodali ecumeniche, fino a forme di consultazione e discernimento su questioni di interesse condiviso e urgente, come potrebbe essere la celebrazione di un Sinodo  ecumenico sull’evangelizzazione. Ci invita anche a rendere conto reciprocamente di ciò che siamo,  di ciò che facciamo e di ciò che insegniamo. Alla radice di questa possibilità vi è il fatto che siamo  uniti nell’unico Battesimo, da cui scaturiscono l’identità del Popolo di Dio e il dinamismo di  comunione, partecipazione e missione. 

139. Nel 2025, anno giubilare, ricorre anche l’anniversario del primo Concilio Ecumenico, in  cui il Simbolo della fede che unisce tutti i Cristiani è stato formulato in modo sinodale. La  preparazione e la commemorazione congiunta del 1700° anniversario del Concilio di Nicea dovrebbe  essere un’occasione per approfondire e confessare insieme la fede cristologica e per mettere in pratica  forme di sinodalità tra i cristiani di tutte le tradizioni. Sarà anche l’occasione per avviare iniziative  audaci per una data comune della Pasqua, in modo da poter celebrare nello stesso giorno la  risurrezione del Signore, come provvidenzialmente avverrà proprio nel 2025 e dare così una maggior  forza missionaria all’annuncio di Colui che è la vita e la salvezza del mondo intero.  

Parte V – «Anch’io mando voi» 

Formare un popolo di discepoli missionari 

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io  mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,  21-22). 

140. La sera di Pasqua, Cristo consegna ai discepoli il dono messianico della Sua pace e li rende  partecipi della Sua missione. La sua pace è pienezza dell’essere, armonia con Dio, con i fratelli e le  sorelle, e con il creato; la missione è annunciare il Regno di Dio, offrendo a ogni persona, nessuno  escluso, la misericordia e l’amore del Padre. Il gesto delicato che accompagna le parole del Risorto  rievoca quanto Dio fece in principio. Ora, nel Cenacolo, con il soffio dello Spirito prende inizio la  nuova creazione: nasce un popolo di discepoli missionari.  

141. Perché il santo Popolo di Dio possa testimoniare a tutti la gioia del Vangelo, crescendo  nella pratica della sinodalità, ha bisogno di un’adeguata formazione: anzitutto alla libertà di figli e  figlie di Dio nella sequela di Gesù Cristo, contemplato nella preghiera e riconosciuto nei poveri. La  sinodalità, infatti, implica una profonda coscienza vocazionale e missionaria, fonte di uno stile  rinnovato nelle relazioni ecclesiali, di nuove dinamiche partecipative e di discernimento ecclesiale, e  di una cultura della valutazione, che non possono instaurarsi senza l’accompagnamento di processi  formativi mirati. La formazione allo stile sinodale della Chiesa promuoverà la consapevolezza che i  doni ricevuti nel Battesimo sono talenti da far fruttificare per il bene di tutti: non possono essere  nascosti o restare inoperosi.  

142. La formazione dei discepoli missionari comincia con l’Iniziazione Cristiana e si radica in  essa. Nella storia di ognuno c’è l’incontro con molte persone e gruppi o piccole comunità che hanno  contribuito a introdurci nella relazione con il Signore e nella comunione della Chiesa: genitori e  familiari, padrini e madrine, catechisti e educatori, animatori della liturgia e operatori nell’ambito  della carità, Diaconi, Presbiteri e lo stesso Vescovo. Talvolta, concluso il percorso dell’Iniziazione, il legame con la comunità s’indebolisce e la formazione viene trascurata. Essere discepoli missionari  del Signore non è però un traguardo raggiunto una volta per tutte. Implica conversione continua,  crescita nell’amore «fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13) e apertura ai  doni dello Spirito per una testimonianza viva e gioiosa della fede. Per questo è importante riscoprire  come la celebrazione domenicale dell’Eucaristia formi i Cristiani: «La pienezza della nostra  formazione è la conformazione a Cristo […]: non si tratta di un processo mentale, astratto, ma di  diventare Lui» (DD 41). Per molti Fedeli, l’Eucaristia domenicale è l’unico contatto con la Chiesa:  curarne la celebrazione nel modo migliore, con particolare riguardo all’omelia e alla «attiva  partecipazione» (SC 14) di tutti, è decisivo per la sinodalità. Nella Messa, infatti, essa accade come  grazia donata dall’alto, prima che come esito dei nostri sforzi: sotto la presidenza di uno e grazie al  ministero di alcuni, tutti possono partecipare alla duplice mensa della Parola e del Pane. Il dono della  comunione, missione e partecipazione – i tre assi portanti della sinodalità – si realizza e si rinnova in  ogni Eucaristia.  

143. Una delle richieste emerse con maggiore forza e da ogni parte lungo il processo sinodale  è che la formazione sia integrale, continua e condivisa. Il suo scopo non è solo l’acquisizione di  conoscenze teoriche, ma la promozione di capacità di apertura e incontro, di condivisione e  collaborazione, di riflessione e discernimento in comune, di lettura teologica delle esperienze  concrete. Deve perciò interpellare tutte le dimensioni della persona (intellettuale, affettiva, relazionale  e spirituale) e comprendere esperienze concrete opportunamente accompagnate. Altrettanto marcata  è stata l’insistenza sulla necessità di una formazione a cui prendano parte insieme uomini e donne,  Laici, Consacrati, Ministri ordinati e Candidati al Ministero ordinato, permettendo così di crescere  nella conoscenza e stima reciproca e nella capacità di collaborare. Ciò richiede la presenza di  formatori idonei e competenti, capaci di confermare con la vita quanto trasmettono con la parola: solo  così la formazione sarà realmente generativa e trasformativa. Non va trascurato, inoltre, il contributo  che le discipline pedagogiche possono dare alla predisposizione di percorsi formativi ben mirati,  attenti ai processi di apprendimento in età adulta e all’accompagnamento dei singoli e delle comunità.  Dobbiamo dunque investire nella formazione dei formatori.  

144. La Chiesa ha già molti luoghi e risorse per la formazione di discepoli missionari: le  famiglie, le piccole comunità, le Parrocchie, le Aggregazioni ecclesiali, i Seminari, le Comunità  religiose, le Istituzioni accademiche, ma anche i luoghi del servizio e di lavoro con la marginalità, le  esperienze missionarie e di volontariato. In tutti questi ambiti la comunità esprime la sua capacità di  educare nel discepolato e di accompagnare nella testimonianza, in un incontro che spesso fa interagire  persone di generazioni diverse. Anche la pietà popolare è tesoro prezioso della Chiesa, che ammaestra  l’intero Popolo di Dio in cammino. Nella Chiesa nessuno è puramente destinatario della formazione:  tutti sono soggetti attivi e hanno qualcosa da donare agli altri.  

145. Tra le pratiche formative che possono ricevere nuovo impulso della sinodalità, particolare  attenzione va data alla catechesi perché, oltre a declinarsi negli itinerari dell’Iniziazione Cristiana, sia  sempre più “in uscita” ed estroversa. Comunità di discepoli missionari sapranno praticarla nel segno  della misericordia e avvicinarla all’esperienza di ognuno, portandola fino alle periferie esistenziali,  senza in questo smarrire il riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica. Essa potrà così divenire un “laboratorio di dialogo” con uomini e donne del nostro tempo (cfr. Pontificio Consiglio per la  Promozione della Nuova Evangelizzazione, Direttorio per la catechesi, 54) e illuminare la loro  ricerca di senso. In molte Chiese i catechisti costituiscono la risorsa fondamentale per  l’accompagnamento e la formazione; in altre il loro servizio deve essere maggiormente apprezzato e sostenuto dalla comunità, uscendo da una logica di delega, che contraddice la sinodalità. Considerata  la portata dei fenomeni migratori, è importante che la catechesi promuova la conoscenza vicendevole  tra le Chiese dei Paesi di origine e di accoglienza. 

146. Oltre agli ambienti e alle risorse specificamente pastorali, la comunità cristiana è presente  in numerose altre istituzioni formative come la scuola, la formazione professionale, l’università, la  formazione all’impegno sociale e politico, il mondo dello sport, della musica e dell’arte. Pur nella  diversità dei contesti culturali, che determinano pratiche e tradizioni molto differenti tra loro, le  istituzioni formative di ispirazione cattolica sono spesso a contatto con persone che non frequentano  altri ambienti ecclesiali. Ispirate dalle pratiche della sinodalità, possono diventare un laboratorio di  relazioni amicali e partecipative, in un contesto in cui la testimonianza di vita, le competenze e  l’organizzazione educativa sono soprattutto laicali e coinvolgono prioritariamente le famiglie. In  particolare, la scuola e l’università di ispirazione cattolica assolvono un ruolo importante nel dialogo  tra fede e cultura e nell’educazione morale ai valori, offrendo una formazione orientata a Cristo, icona  della vita in pienezza. Quando riescono a farlo, si rivelano capaci di promuovere un’alternativa ai  modelli dominanti, spesso ispirati all’individualismo e alla competizione, assumendo così anche un  ruolo profetico. In alcuni contesti, sono l’unico ambiente in cui ragazzi e giovani vengono in contatto  con la Chiesa. Quando è ispirata al dialogo interculturale e interreligioso, la loro azione educativa è  apprezzata anche da persone di altre tradizioni religiose come forma di promozione umana. 

147. La formazione sinodale condivisa per tutti i Battezzati costituisce l’orizzonte entro cui  comprendere e praticare la formazione specifica necessaria per i singoli ministeri e per le diverse  forme di vita. Perché ciò avvenga è necessario che questa si attui come scambio di doni tra vocazioni  diverse (comunione), nell’ottica di un servizio da svolgere (missione) e in uno stile di coinvolgimento  e di educazione alla corresponsabilità differenziata (partecipazione). Questa richiesta, emersa con  forza dal processo sinodale, esige non di rado un impegnativo cambio di mentalità e una rinnovata  impostazione degli ambienti e dei processi formativi. Implica soprattutto la disponibilità interiore a  lasciarsi arricchire dall’incontro con fratelli e sorelle nella fede, superando pregiudizi e visioni di  parte. La dimensione ecumenica della formazione non può che favorire questo cambio di mentalità. 

148. Lungo il processo sinodale, è stata ampiamente espressa la richiesta che i percorsi di  discernimento e formazione dei Candidati al ministero ordinato siano configurati in stile sinodale.  Ciò significa che devono prevedere una presenza significativa di figure femminili, un inserimento  nella vita quotidiana delle comunità e l’educazione a collaborare con tutti nella Chiesa e a praticare  il discernimento ecclesiale. Ciò implica un investimento coraggioso di energie per la preparazione  dei formatori. L’Assemblea chiede una revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis che recepisca le istanze maturate nel Sinodo, traducendole in indicazioni precise per una formazione  alla sinodalità. I percorsi formativi sappiano destare nei candidati la passione per la missione ad  gentes. Non meno necessaria è la formazione dei Vescovi, perché possano assumere sempre meglio  la loro missione di comporre in unità i doni dello Spirito ed esercitare in stile sinodale l’autorità loro  conferita. Lo stile sinodale della formazione implica che la dimensione ecumenica sia presente in tutti  gli aspetti dei percorsi verso il ministero ordinato. 

149. Nella formazione del Popolo di Dio alla sinodalità è necessario prendere in considerazione  anche alcuni ambiti specifici, su cui il processo sinodale ha richiamato insistentemente l’attenzione.  Il primo riguarda l’impatto dell’ambiente digitale sui processi di apprendimento, la capacità di  concentrazione, la percezione di sé e del mondo, la costruzione delle relazioni interpersonali. La  cultura digitale costituisce una dimensione cruciale della testimonianza della Chiesa nella cultura contemporanea, nonché un campo missionario emergente. Per questo è necessario prendersi cura che  il messaggio cristiano sia presente in rete in modi affidabili, che non ne distorcano il contenuto in  modo ideologico. Sebbene il digitale abbia un grande potenziale per migliorare la nostra vita, può  anche causare danni e ferite, attraverso bullismo, disinformazione, sfruttamento sessuale e  dipendenza. È importante che le istituzioni educative della Chiesa aiutino ragazzi e adulti a sviluppare  competenze critiche per navigare in sicurezza sul web. 

150. Un altro ambito di grande rilievo è la promozione in tutti gli ambienti ecclesiali di una  cultura della tutela (safeguarding), per rendere le comunità luoghi sempre più sicuri per i minori e le  persone vulnerabili. È già cominciato il lavoro per dotare le strutture della Chiesa di regolamenti e  procedure giuridiche che consentano la prevenzione degli abusi e risposte tempestive a  comportamenti non appropriati. Occorre proseguire questo impegno, offrendo una formazione  specifica adeguata a quanti operano a contatto con i minori e con gli adulti più deboli, perché agiscano  con competenza e sappiano cogliere i segnali, spesso silenziosi, di chi sta vivendo un dramma e ha  bisogno di aiuto. L’accoglienza e il sostegno delle vittime è un compito delicato e indispensabile, che  richiede grande umanità e va portato avanti con l’aiuto di persone qualificate. Tutti dobbiamo lasciarci  scuotere dalla loro sofferenza e praticare quella prossimità che, attraverso scelte concrete, le sollevi,  le aiuti e prepari un futuro diverso per tutti. È indispensabile che in tutto il mondo la Chiesa attivi e  promuova una cultura della prevenzione e del safeguarding, rendendo le comunità luoghi sempre più  sicuri per i minori e le persone vulnerabili. Sebbene siano stati compiuti passi per prevenire gli abusi,  è necessario rafforzare questo impegno offrendo una formazione specifica e continua a coloro che  lavorano con i minori e gli adulti vulnerabili. I processi di safeguarding devono essere costantemente  monitorati e valutati. Le vittime e i sopravvissuti devono essere accolti e sostenuti con grande  sensibilità. 

151. Anche i temi della dottrina sociale della Chiesa, dell’impegno per la pace e la giustizia,  della cura della casa comune e del dialogo interculturale e interreligioso devono conoscere maggiore  diffusione nel Popolo di Dio, perché l’azione dei discepoli missionari incida nella costruzione di un  mondo più giusto e fraterno. L’impegno per la difesa della vita e dei diritti della persona, per il giusto  ordinamento della società, per la dignità del lavoro, per un’economia equa e solidale, per l’ecologia  integrale fanno parte della missione evangelizzatrice che la Chiesa è chiamata a vivere e incarnare  nella storia.  

Conclusione 

Un banchetto per tutti i popoli 

Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. […]  Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli:  «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il  pane e lo diede loro, e così pure il pesce (Gv 21, 9.12.13) 

152. Il racconto della pesca miracolosa termina con un banchetto. Il Risorto ha chiesto ai  discepoli di obbedire alla sua parola, di gettare le reti e tirarle a riva; è Lui però che prepara la  mensa e invita a mangiare. Ci sono pani e pesci per tutti, come quando li aveva moltiplicati per la 

folla affamata. C’è soprattutto lo stupore e l’incanto della Sua presenza, così chiara e lucente da  non richiedere domande. Mangiando con i Suoi, dopo che lo avevano abbandonato e rinnegato, il  Risorto apre di nuovo lo spazio della comunione e imprime per sempre nei discepoli il marchio di  una misericordia che spalanca al futuro. Per questo, i testimoni della Pasqua si qualificheranno così:  «noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,41). 

153. Nei banchetti del Risorto trova compimento l’immagine del profeta Isaia che ha ispirato  il lavoro dell’Assemblea sinodale: una mensa sovrabbondante e prelibata preparata dal Signore  sulla cima del monte, simbolo di convivialità e di comunione, destinata a tutti i popoli (cfr. Is 25,6- 8). La tavola che il Signore prepara ai Suoi dopo la Pasqua è il segno che il banchetto escatologico  è già iniziato. Anche se solo in cielo avrà la sua pienezza, la mensa della grazia e della misericordia  è già imbandita per tutti e la Chiesa ha la missione di portare questo splendido annuncio in un  mondo che cambia. Mentre si nutre nell’Eucaristia del Corpo e del Sangue del Signore, sa di non  poter dimenticare i poveri, gli ultimi, gli esclusi, coloro che non conoscono l’amore e sono privi di  speranza, né coloro che non credono in Dio o non si riconoscono in nessuna religione istituita. Li  porta al Signore nella preghiera per poi uscire a incontrarli, con la creatività e l’audacia che lo  Spirito ispira. Così la sinodalità della Chiesa diventa profezia sociale, ispira nuovi cammini anche  per la politica e per l’economia, collabora con tutti coloro che credono nella fraternità e nella pace  in uno scambio di doni con il mondo.  

154. Vivendo il processo sinodale abbiamo preso nuova coscienza che la salvezza da ricevere  e da annunciare passa attraverso le relazioni. La si vive e la si testimonia insieme. La storia ci  appare segnata tragicamente dalla guerra, dalla rivalità per il potere, da mille ingiustizie e  sopraffazioni. Sappiamo però che lo Spirito ha posto nel cuore di ogni essere umano il desiderio di  rapporti autentici e di legami veri. La stessa creazione parla di unità e di condivisione, di varietà e  intreccio tra diverse forme di vita. Tutto viene dall’armonia e tende all’armonia, anche quando  soffre la ferita devastante del male. Il significato ultimo della sinodalità è la testimonianza che la  Chiesa è chiamata a dare di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, Armonia di amore che si effonde  fuori di sé per donarsi al mondo. Camminando in stile sinodale, nell’intreccio delle nostre  vocazioni, carismi e ministeri, e, andando incontro a tutti per portare la gioia del Vangelo, possiamo  vivere la comunione che salva: con Dio, con l’umanità intera e con tutta la creazione. Inizieremo  allora già adesso a sperimentare, grazie alla condivisione, il banchetto di vita che Dio offre a tutti i  popoli. 

155. Alla Vergine Maria, che porta lo splendido titolo di Odigitria, Colei che indica e guida il  cammino, affidiamo i risultati di questo Sinodo. Lei, Madre della Chiesa che nel Cenacolo ha aiutato  la comunità nascente ad aprirsi alla novità di Pentecoste, ci insegni a essere un Popolo di discepoli  missionari che camminano insieme: una Chiesa sinodale.  

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