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Il Giubileo dei Rom e dei Sinti

Nel cuore dell’Anno Santo della Speranza, Rom, Sinti e Caminanti hanno varcato la Porta Santa per testimoniare la loro fede e chiedere inclusione. Un evento carico di simboli, accoglienza e fraternità.

Un Giubileo per tutti: Rom e Sinti varcano la Porta Santa

La scorsa settimana, tra i tanti pellegrini giunti a Roma per il Giubileo della Speranza, vi erano anche rappresentanti delle comunità Rom, Sinti e Caminanti, provenienti da tutta Italia e da diversi Paesi europei. Il loro Giubileo è stato organizzato dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, come segno di riconoscimento e di apertura verso comunità che troppo spesso restano ai margini della società.

Il saluto del Papa: «Che la pace di Cristo sia nei vostri cuori»

Nel discorso rivolto ai partecipanti, Papa Leone XIV ha voluto esprimere parole di vicinanza e incoraggiamento:

«Che la pace di Cristo sia nei vostri cuori, fratelli e sorelle Rom, Sinti e Caminanti! E la pace sia anche nei cuori dei tanti operatori pastorali che sono qui presenti e instancabilmente camminano con voi.»

Un invito forte e chiaro a riconoscere la dignità di ogni persona e a non escludere nessuno dal cammino della fede.

Musica, cultura e memoria: la tradizione che unisce le generazioni

La celebrazione nell’Aula Paolo VI è stata arricchita da canti, danze e testimonianze artistiche che hanno messo in luce la ricchezza culturale delle comunità rom e sinti. Tra gli artisti, ha suonato il violinista Rubino Gabriele, sinti di Bressanone, nipote del musicista che si esibì per San Giovanni Paolo II nel 1991.

«Ho vissuto un’esperienza nuova perché ai tempi era mio nonno a fare questo e oggi sono io a portare avanti questa tradizione. Per me è stata un’emozione e anche dei bei ricordi che ho avuto da piccolo, quando vedevo mio nonno al posto mio suonare col Papa. Oggi fortunatamente, dopo 25 anni, sono io qua. Suonare dal vivo per lui è stata un’emozione unica, indescrivibile. Poi avere anche il suo autografo sul violino, avere una vicinanza vicina e sentirmi dire “suona”, per me era una cosa bellissima.»

Sfide quotidiane e progetti di speranza

In Europa, molte comunità Rom e Sinti continuano ad affrontare gravi difficoltà sociali, tra cui l’esclusione, la povertà, la mancanza di istruzione e l’alto rischio di marginalizzazione.

In questo contesto, la Chiesa cattolica promuove progetti di inclusione concreta, come il programma “No Name per il Sociale” a Scampia (Napoli), che coinvolge giovani delle comunità locali.

Daria Tartamella, educatrice del progetto “Quattro Talenti”, ha condiviso:

«È un’emozione che vuol dire comunità per me, perché io faccio parte della Comunità zingara, anche se sono di etnia sinta e non rom, e la giornata di oggi mi permette di confrontarmi con persone che fanno parte della mia stessa cultura e soprattutto di guardarci in faccia e dirci che siamo una cosa sola. In questo momento in effetti è fondamentale che le comunità religiose si interessino di questo problema, nell’assenza appunto di uno Stato che lo faccia.»

Tra i frutti di questi progetti c’è Mitat Jasari, giovane studente di medicina e partecipante al programma:

«I ragazzi della mia etnia, non lasciare subito gli studi e proseguire anche loro una carriera scolastica e cambiare la nostra generazione e portarla avanti.»

Quando il Vangelo diventa presenza concreta: l’opera di padre Stefano

Nel quartiere romano adiacente alla parrocchia Santa Maria della Misericordia, padre Stefano Meloni ha vissuto per quasi vent’anni accanto alla comunità rom, offrendo ascolto, catechesi, sostegno scolastico e umanità.

«Beh, ci insegnano sicuramente tanti valori che un po’ forse noi abbiamo perduto, il fatto dello stare insieme, dell’aiutarsi. Forse proprio quelli che vivono di più la fragilità, insomma, l’essere ai margini, possono aiutarsi tra loro, si aiutano tra loro, quindi sicuramente in questo ci aiutano. Ci insegnano il valore della famiglia. Dragan è il secondo dei suoi figli e ovviamente per loro, insomma, è importante le radici, è importante la famiglia.»

A testimoniarlo con emozione è anche Silviana, parrocchiana:

«Ti dico la verità, mio marito quando stava in carcere è l’unico che ci ha salvato. Ci dava la spesa, ci dava i soldi, perché è vero. Perché non puoi dire bugie, è vero, ci ha salvato. Io quando stavo male lui ci stava vicino a me. Andavo a piangere, mi sfogavo da vicino a lui, è vero. Ecco, a volte io quante volte lo chiamo per sapere se sta bene, se non mi succede qualcosa, capito? Voglio essere sempre la prima pronta per lui, come lui è stato per i miei figli, per la mia famiglia.»

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