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“Mio padre mi avrebbe fucilata”: la conversione cattolica della figlia di Stalin

Joseph Stalin con sua figlia Svetlana nel 1935 (foto: Wikimedia Commons / Wikimedia Commons)
Joseph Stalin con sua figlia Svetlana nel 1935 (foto: Wikimedia Commons / Wikimedia Commons)
Svetlana Allilujeva, da erede del dittatore a convertita al cattolicesimo: la lunga fuga dal terrore verso la libertà spirituale

La figlia del “Dio rosso”

Svetlana Stalin, figlia del sanguinario dittatore sovietico Joseph Stalin, rinunciò al materialismo e si convertì al cattolicesimo. “Mio padre mi avrebbe fucilata per ciò che ho fatto,” confidò un giorno a un redattore del National Review.
Era una provocazione amara, ma anche la consapevolezza di una distanza incolmabile: tra l’ateismo militante del padre e la sua personale scoperta della fede.

Joseph Stalin era cresciuto nella Chiesa ortodossa: i genitori sognavano per lui il sacerdozio. Ma il giovane Iosif visse un’infanzia segnata dalla povertà e dalle violenze paterne, fino a maturare un odio profondo verso la religione. “Sai, ci stanno prendendo in giro, Dio non esiste… tutte queste chiacchiere su Dio sono pura assurdità,” avrebbe detto più tardi.

L’uomo che volle distruggere Dio

Durante il suo regime, Stalin trasformò la lotta contro la fede in una campagna sistematica di persecuzione.
Fece chiudere migliaia di chiese, fece imprigionare, torturare e uccidere sacerdoti e fedeli. La celebre demolizione della Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, nel 1931, resta uno dei simboli più tragici di quella “crociata atea”.

Attraverso la Lega dei Senza Dio Militanti, Stalin avviò i “piani quinquennali dell’ateismo”, con l’obiettivo di cancellare ogni traccia religiosa. Solo tra il 1937 e il 1938 furono arrestati più di 168.000 membri del clero ortodosso russo, in gran parte giustiziati.
Svetlana avrebbe poi scritto:

“Molti oggi trovano più facile pensare a lui come a un mostro fisico. In realtà, era un mostro morale e spirituale. Questo è molto più terrificante. Ma è la verità.”

La bambina del Cremlino

Eppure Stalin, il persecutore di Dio, amava teneramente la figlia. Svetlana, nata nel 1926, crebbe adorandolo e vedendolo come un eroe. Tutti intorno a lei parlavano di lui con devozione, e solo più tardi avrebbe compreso che era la paura a ispirare tanto rispetto.

La madre, Nadežda Allilujeva, si tolse la vita quando la bambina aveva appena sei anni. “Non ricordo un solo abbraccio o una parola d’affetto,” dirà più tardi. Il legame con il padre rimase forte, almeno finché Svetlana non cominciò a scorgere le prime ombre.

A scuola, alcuni compagni le passavano biglietti disperati: i loro genitori erano “scomparsi” e le chiedevano di intercedere con Stalin. Ma il dittatore la ammonì: “Non farti una cassetta postale.” Col tempo anche parenti e amici furono arrestati o uccisi: “Sapevano troppo,” le spiegò il padre.

Un amore proibito, un nome rinnegato

Quando si innamorò per la prima volta, Stalin mandò il ragazzo in un Gulag. Più tardi sposò un giovane ebreo, contro il parere paterno, e poi il figlio di un alto funzionario del Cremlino. Nessuno dei due matrimoni durò.

Alla morte del padre, nel marzo 1953, Svetlana assistette ai suoi ultimi istanti:

“L’agonia fu orribile. Morì soffocato… All’ultimo momento aprì gli occhi e guardò tutti nella stanza. Fu uno sguardo terribile, folle, colmo d’ira e di paura.”

Poco dopo cambiò cognome: da Stalin ad Allilujeva, quello della madre. “Stalin mi lacerava le orecchie,” disse. E nel 1962 fu battezzata nella Chiesa ortodossa russa.

“Il sacramento del battesimo consiste nel rifiuto del male, della menzogna… Ho creduto nella verità senza violenza e senza spargimento di sangue.”

La fuga e la conversione

Caduta in disgrazia, chiese di sposare un uomo indiano, Brajesh Singh. Dopo la sua morte, nel 1966, ottenne il permesso di portarne le ceneri in India. Ma da lì non tornò più: entrò nell’ambasciata americana e chiese asilo politico.

“Dici che tuo padre era Stalin? Il Stalin?”, le chiese stupito un funzionario.
Nel 1967 arrivò a New York con un manoscritto che in URSS non sarebbe mai stato pubblicato: Twenty Letters to a Friend, presto divenuto un bestseller.

Nonostante il successo, la sua vita rimase irrequieta: cambiò Paese, religione e persino opinioni politiche, cercando la pace che non aveva mai conosciuto.

Incontro con la grazia

Negli Stati Uniti conobbe padre Giovanni Garbolino, missionario in Russia. Fu lui a invitarla in pellegrinaggio a Fátima e a guidarla in un percorso di fede.
Il 13 dicembre 1982, Svetlana Allilujeva si convertì al cattolicesimo. Scrisse:

“Solo ora comprendo la meravigliosa grazia che i Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia producono… Ora mi sento completamente diversa, da quando partecipo ogni giorno alla Messa.”

E ancora:

“L’Eucaristia mi ha dato la vita. Il Sacramento della Penitenza… rende necessario riceverlo spesso.”

Senza madre, trovò una nuova maternità spirituale:

“Sono stata accolta tra le braccia della Beata Vergine Maria… Chi altri poteva essere la mia avvocata, se non la Madre di Gesù?”

La fine in pace

Negli ultimi anni visse tra Europa e America, poi si stabilì vicino a una delle figlie in Oregon. Morì nel 2011, serenamente, in una casa di cura del Wisconsin.
Non con il pugno chiuso del padre, ma con il rosario tra le dita, grata per aver trovato quella verità che l’ideologia le aveva negato: la libertà dell’anima.

Articolo precedentemente pubblicato sul Nathional Catholic Register, tradotto e riadattato per la pubblicazione su ewtn.it.

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