Nel contesto di una crisi politica ed economica che da anni affligge il Libano, la visita di Papa Leone XIV rappresenta un gesto significativo di vicinanza alla comunità cristiana locale e un messaggio forte a favore della pace e della neutralità. Questo articolo analizza le sfide che il Pontefice si troverà ad affrontare in un Paese segnato da profonde divisioni.
Il significato della visita di Papa Leone XIV in Libano
Che Papa Leone XIV abbia incluso il Libano nel suo primo viaggio internazionale è un segnale chiaro dell’importanza — e della gravità della situazione — di questo Paese.
Il Libano potrebbe non contare molto sul piano geopolitico globale, ma riveste un’importanza particolare per il Vaticano in quanto autentico baluardo del cristianesimo orientale, in particolare cattolico. Sebbene i cristiani costituiscano “solo” il 37% della popolazione, rappresentano una massa critica e influente che non trova paragoni nel resto del Medio Oriente. In diverse aree del Paese — da Bsharre a Beirut Est, fino a Zahleh — i cristiani sono ancora la maggioranza, come si può percepire chiaramente dai nomi dei negozi, dai segni religiosi lungo le strade e dal gran numero di chiese.
Tuttavia, la grande crisi del Libano non riguarda tanto i rapporti tra musulmani e cristiani, che restano generalmente cordiali, quanto piuttosto le profonde divisioni politiche interne.
Due visioni opposte per il futuro del Libano
Da un lato, ci sono i libanesi che desiderano vedere il proprio Paese fiorire come una nazione normale, pacifica e neutrale rispetto ai conflitti violenti che dilaniano la regione da decenni.
Il Patriarca maronita, il cardinale Bechara Rai — la figura ecclesiastica più influente del Libano — ha invocato una “neutralità positiva e attiva”. Come ha spiegato lo stesso porporato, si tratta di una dottrina politica che evita l’allineamento con blocchi regionali o internazionali in conflitto, pur restando impegnata a favore delle cause giuste nel mondo, come il diritto dei popoli all’indipendenza. In altre parole, il Patriarca augura ogni bene al popolo palestinese, ma rifiuta che il Libano venga sacrificato sull’altare di guerre e instabilità continue per cause altrui — che si tratti della Palestina, dell’Iran o di altri attori.
All’opposto si trova un altro asse, che potremmo definire quello della “rivoluzione perpetua”, rappresentato dal gruppo terroristico Hezbollah, sostenuto dall’Iran, e dai suoi alleati politici e armati all’interno del Libano, compresi alcuni cristiani. Questo asse rivoluzionario non è che l’ultima versione di una calamità che colpisce il Libano da oltre 50 anni, spesso con la complicità di settori locali.
In passato, il Libano è stato usato come piattaforma per la rivoluzione nel mondo arabo e per la guerra contro Israele. Beirut veniva definita la Hanoi o la Stalingrado degli arabi. Il Paese — almeno la parte non controllata dai cristiani — è stato ostaggio prima della causa palestinese, poi delle ambizioni del regime siriano di Assad e infine degli interessi regionali dell’Iran. Arafat, Assad, Nasrallah: leader diversi, ma con lo stesso effetto devastante per il Libano, trasformato in uno strumento per la geopolitica e la violenza di altri.
Pace e neutralità: un messaggio controcorrente
Invocare la pace in Libano, o addirittura una “neutralità positiva e attiva”, equivale a prendere una posizione chiara contro l’asse della guerra e della rivoluzione. E questo è il vero spartiacque nel Paese, più ancora della religione.

Vi sono stati cristiani che, per convinzione o per mero calcolo politico, hanno appoggiato Hezbollah, come l’ex presidente Michel Aoun e il suo partito. Altri cristiani, invece, si sono sempre opposti. Alcuni hanno pagato con la vita questa scelta, come l’ex ministro e parlamentare Pierre Amine Gemayel, assassinato per la sua opposizione al partito della guerra. Ma non solo i cristiani sono stati vittime: anche figure musulmane come l’ex ministro sunnita Mohammad Chatah e l’attivista sciita Lokman Selim sono stati uccisi per il loro coraggioso rifiuto della logica distruttiva di Hezbollah e dei suoi alleati.
Due cause intrecciate: sostegno ai cristiani e pace per tutti
Nel mezzo di incontri ufficiali, protocolli diplomatici ed eventi religiosi, Papa Leone XIV sarà chiamato a sostenere con chiarezza due cause fondamentali: la solidarietà con la storica comunità cristiana del Libano e l’appello alla pace, alla tranquillità e alla neutralità per tutti i libanesi. Le due cause sono profondamente connesse.
La crisi economica che spinge molti giovani cristiani ad emigrare è strettamente legata alla crisi politica, che a sua volta è causata dalle distorsioni prodotte dall’influenza del “partito della guerra”. Tutti gli altri problemi del Libano — il ritiro israeliano dal Sud, la ricostruzione, la lotta alla corruzione, la giustizia sociale, la tolleranza religiosa — possono migliorare solo se si abbandona il ciclo della guerra continua e il sistema politico-economico corrotto che deriva dalla presenza di Hezbollah come esercito parallelo e Stato nello Stato.
Un messaggio papale che può fare la differenza
Un appello papale per questo tipo di cambiamento non solo è in sintonia con la politica estera dell’Occidente nei confronti del Libano, ma riflette anche le aspirazioni della maggior parte degli Stati arabi musulmani e, soprattutto, della maggior parte dei libanesi — cristiani e musulmani.
La voce del Papa, in un contesto così complesso, può dunque rappresentare un faro di speranza e di unità, richiamando il Libano alla sua vocazione più profonda: quella di essere una terra di convivenza e di pace, e non un campo di battaglia per le guerre altrui.






