L’8 maggio 1945 terminava in Europa la Seconda Guerra Mondiale. A ottant’anni di distanza, il ruolo della Chiesa cattolica in quegli anni bui continua a suscitare domande e dibattiti. Questo reportage raccoglie voci autorevoli per offrire una lettura più profonda del pontificato di Pio XII.
Il giorno della resa, e le domande ancora aperte
Era l’8 maggio 1945 quando in Europa si concluse ufficialmente la Seconda Guerra Mondiale. La Germania nazista capitolava e le forze alleate dichiaravano la vittoria. Ma accanto alla fine della guerra, prendeva forma un lungo interrogativo sul ruolo della Chiesa cattolica in quegli anni drammatici.
Subito dopo il conflitto, la Chiesa condannò le atrocità commesse dai nazisti, ma non mancò di menzionare anche i crimini di guerra perpetrati dagli Alleati. In quel periodo, fu lodata per aver salvato numerosi ebrei dalla persecuzione, e per aver pianto i propri martiri, come San Massimiliano Kolbe o Franz Jägerstätter, trucidati nei campi di concentramento.
Tra i più noti oppositori al regime nazista ci fu il vescovo Clemens August von Galen, soprannominato “il leone di Münster”, che denunciò pubblicamente il programma di eutanasia, la brutalità della Gestapo e la repressione contro la Chiesa.
Silenzio o strategia? La prudenza di Pio XII
Con il passare degli anni, però, alcuni studiosi iniziarono a chiedersi se la Chiesa fosse stata solo vittima o anche in parte troppo prudente. Molti cattolici battezzati facevano parte del regime, ma non furono scomunicati. Le domande più scottanti toccano direttamente la figura di Papa Pio XII: cosa sapeva realmente dell’Olocausto? E perché non parlò apertamente?
Padre Maxim Baz, professore di teologia all’Angelicum, spiega che “fu criticato per la sua eccessiva prudenza. Ma lui spiega che la sua prudenza era proprio finalizzata a salvare i più vulnerabili, perché oggi conosciamo la psicologia che si scatenava in chi comandava la Germania di allora, e sappiamo che ci sarebbero state esecuzioni sommarie, sparizioni, gente fucilata per strada, come ritorsione per ciò che aveva detto il Papa”.
Andreas Thonhauser, direttore dell’ufficio vaticano di EWTN, osserva che “in realtà ci sono stati anche molti ebrei salvati dalla Chiesa”. Padre Baz conferma: “Assolutamente sì. C’è un’errata caratterizzazione del ruolo di Pio XII. Se si vuole una lettura probabilmente più accurata di chi era, beh, forse dovremmo guardare a tutte le elegie, o alle parole di cordoglio che sono state offerte da persone importanti al momento della sua morte. Come quelle del primo ministro, Golda Meir, che ha davvero fatto un atto eloquente di apprezzamento per tutti i suoi interventi durante la Seconda Guerra Mondiale, e molti altri. C’è anche il Rabbino capo di Gerusalemme, che ha fatto un atto di apprezzamento per tutti i suoi interventi durante la Seconda guerra mondiale”.
Il Papa che conosceva la Germania
Padre Baz, nato in Libano e ora al servizio dell’Ordine del Santo Sepolcro, ha dedicato la sua tesi proprio al ruolo dei Papi nei confronti della guerra. Di Pio XII ricorda che “prima di diventare Papa, è stato nunzio in Germania. E come nunzio trascorse la maggior parte della sua carriera in Germania. Quindi, conosceva in modo molto capillare, aveva un’immagine molto precisa della crescita del Partito Nazionalsocialista. Abbiamo molte prove di molte note diplomatiche che scrisse per protestare contro la crescente presa di potere di questo partito. Quindi, molto presto, fu consapevole di ciò che stava accadendo”.
Il Campo Santo: un rifugio segreto sotto il Vaticano
Durante la guerra, il cimitero teutonico, all’ombra della Basilica di San Pietro, divenne un punto nevralgico della diplomazia vaticana e un rifugio segreto per migliaia di ebrei in fuga. Monsignor Stefan Heid, rettore del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana e residente al Campo Santo, ricorda che “Papa Pio XII — questa è una questione davvero controversa. Il suo silenzio è stato regolarmente tirato in ballo, ed è oggettivamente vero che nelle sue dichiarazioni pubbliche non ha menzionato lo sterminio sistematico di massa degli ebrei. Conosciamo anche le sue ragioni: non voleva mettere ancora più a rischio la vita degli ebrei facendo una dichiarazione così aperta”.
Rimane dunque aperta la questione su quanto fu fatto. “Era una situazione assolutamente unica che nessuno aveva mai affrontato prima”, conclude Heid.
Monsignor O’Flaherty e la rete della salvezza
Tra le figure più emblematiche di quegli anni vi fu monsignor Hugh O’Flaherty, sacerdote irlandese che viveva proprio al Campo Santo. La sua storia ha ispirato anche un film hollywoodiano con Gregory Peck, The Scarlet and the Black. Heid racconta che “quando si trattava di questioni umanitarie, della protezione degli ebrei, dei prigionieri di guerra fuggiti e di quelli politicamente a rischio, tutti erano chiaramente dalla parte di O’Flaherty. Costruì una grande rete nella città di Roma. Dalla sua stanza qui al Campo Santo Teutonico, organizzava tutto ciò che era necessario”.
Alla domanda se il Papa fosse a conoscenza delle attività di O’Flaherty, Heid risponde: “Si può certamente ipotizzare. Anche se non esiste un singolo documento in merito, la struttura interna della Chiesa è strettamente gerarchica, il che significa che il Papa era al corrente di ogni movimento”.
Il coraggio silenzioso di Pio XII
Quello di O’Flaherty non fu un caso isolato. “Molte chiese e parrocchie di Roma hanno offerto un rifugio sicuro a chi fuggiva dal regime nazista”, aggiunge Heid. E conclude con una riflessione personale: “Tuttavia, ha fatto moltissimo. Non so se un altro Papa avrebbe fatto altrettanto, perché nella storia ci sono stati Papi che hanno avuto paura, e Pio XII non è stato uno di questi. Ricevette persino i combattenti della resistenza nel Palazzo Apostolico. Quale Papa lo farebbe oggi?”