La morte di Papa Francesco, avvenuta oggi, 21 aprile, segna la fine di un pontificato storico durato 12 anni. Il primo Papa latinoamericano e il primo membro della Compagnia di Gesù ad essere eletto Pontefice lascia un’eredità segnata dai suoi sforzi per portare il Vangelo alle periferie del mondo e ai margini della società, scuotendo — talvolta con vigore e in modo scomodo — quello che egli considerava uno status quo cattolico inaccettabilmente autoreferenziale, poco accogliente e rigido.
Dopo l’inaspettata rinuncia di Papa Benedetto XVI nel febbraio 2013, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, ricevette il mandato per una riforma il 13 marzo 2013, da parte dei cardinali che lo elessero durante il conclave.
Prima del conclave, il gesuita argentino di 76 anni non era considerato tra i papabili. Tuttavia, dopo aver presentato la sua visione per una riforma della Chiesa Cattolica in un discorso ai cardinali, la maggioranza degli elettori fu persuasa che potesse offrire una risposta forte agli scandali e alle sfide della Chiesa, nonché proporre soluzioni al calo delle vocazioni e alla partecipazione ecclesiale.
Il nuovo Papa scelse il nome del santo italiano del XIII secolo e fondatore dell’Ordine francescano, San Francesco d’Assisi, che aveva abbracciato una vita di povertà radicale al servizio dei più bisognosi, predicando il Vangelo per le strade. In tal senso, il Pontefice si propose di incoraggiare una Chiesa che andasse incontro ai poveri, agli emarginati e agli dimenticati, capace di affrontare le complessità della fede e delle relazioni umane nel mondo contemporaneo.
«Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze», scriveva Francesco in Evangelii Gaudium (La gioia del Vangelo), la sua esortazione apostolica del 2013 che incoraggiava l’impegno pastorale nei quartieri poveri così come nei grandi saloni delle conferenze.
Evangelii Gaudium fu considerato un manifesto del nuovo pontificato. Tuttavia, il piano di fondo risaliva già a prima della sua elezione ed era chiaramente latinoamericano: il documento finale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, svoltasi ad Aparecida (Brasile) nel 2007, durante la quale il cardinale Bergoglio presiedette la commissione di redazione.
Il documento di Aparecida introdusse molte delle strategie di evangelizzazione che sarebbero poi state riprese in Evangelii Gaudium e ribadite in Querida Amazonia, l’esortazione apostolica postsinodale del 2020 scritta dopo il Sinodo dei Vescovi del 2019 sulla regione panamazzonica.
Aparecida lanciava l’idea di una “grande missione continentale”, una Chiesa umile e aperta verso l’esterno, con una preferenza per il creato, la pietà popolare, i poveri e la gente delle periferie. «Sarà una nuova Pentecoste che ci incoraggia ad andare, in modo speciale, in cerca dei cattolici lontani e di coloro che sanno poco o nulla di Gesù Cristo, affinché possiamo formare con gioia la comunità d’amore di Dio nostro Padre. Una missione che deve raggiungere tutti ed essere permanente e profonda», si leggeva nel testo.
Da Papa, Francesco fece di questa “grande missione continentale” un compito per tutta la Chiesa universale.
Parlando nel 2013 alla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, esortò i giovani a non avere paura di “fare chiasso” per evangelizzare più efficacemente.
«Cosa mi aspetto come conseguenza della Giornata della Gioventù?», chiese ai giovani argentini nella cattedrale. «Mi aspetto chiasso. Che qui dentro ci sarà chiasso, ci sarà. Che qui a Rio ci sarà chiasso, ci sarà. Ma voglio chiasso nelle diocesi, voglio che si esca fuori».
Incoraggiando questa evangelizzazione “disordinata”, Francesco offrì una grande visione di decentramento, ascolto e accompagnamento: una Chiesa di impegno pastorale e misericordioso, al di sopra della rigida precisione dottrinale e del clericalismo. Il Papa diceva spesso: «Tutti, tutti, tutti», come espressione di come la Chiesa debba essere un luogo accogliente di misericordia.
Nel dicembre 2015, Papa Francesco inaugurò un Anno Giubilare straordinario della Misericordia, un tempo speciale per aiutare tutta la Chiesa a «riscoprire e rendere fruttuosa la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a portare conforto a ogni uomo e donna del nostro tempo». I missionari della misericordia ricevettero nel 2016 il mandato di predicare il Vangelo della Misericordia e concretizzare quell’invito attraverso il sacramento della Confessione.
Il tratto principale dei suoi ultimi anni fu la ricerca continua della sinodalità per la Chiesa, incarnata nel Sinodo triennale sulla Sinodalità (2021-2024), volto a risvegliare in modo permanente la Chiesa globale affinché tutti i suoi membri, il Popolo di Dio, “camminino insieme, si riuniscano in assemblea e partecipino attivamente alla sua missione evangelizzatrice”.
Tuttavia, sin dall’inizio, il suo pontificato fece emergere tensioni all’interno della Chiesa Cattolica, a partire dai turbolenti Sinodi sulla Famiglia del 2014 e 2015, nei quali i cardinali dibatterono sulla proposta controversa di permettere ai divorziati risposati civilmente di ricevere la Comunione. L’esortazione apostolica postsinodale di Francesco, Amoris Laetitia (La gioia dell’amore), non riuscì a placare la controversia a causa della sua posizione poco chiara su questa delicata questione dottrinale.
Queste divisioni si accentuarono negli anni successivi, quando alcuni leader ecclesiali, soprattutto in Germania, sfruttarono l’apparente ambiguità dottrinale di Francesco per spingere verso cambiamenti nella dottrina cattolica, come il celibato sacerdotale, le unioni omosessuali e l’ordinazione femminile.
Le tensioni aumentarono ulteriormente con le reazioni all’interno della Chiesa al motu proprio Traditionis Custodes del 2021, che limitava drasticamente la celebrazione della Messa tradizionale in latino, e al documento Fiducia Supplicansdel 2023, che consentiva forme di benedizione non liturgica per coppie dello stesso sesso e coppie in situazioni irregolari.
Il Santo Padre, tuttavia, tracciò linee chiare in alcune aree centrali della dottrina. Con il documento Dignitas Infinita, pubblicato nel 2024 dal Dicastero per la Dottrina della Fede, Francesco ribadì l’opposizione perenne della Chiesa all’aborto, all’eutanasia e all’ideologia di genere. Nel maggio 2024, durante un’intervista molto seguita nel programma 60 Minutes della CBS, ribadì con forza che l’ordinazione delle donne al sacerdozio e al diaconato era esclusa.
Un figlio di immigrati
Nato il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires (Argentina), Jorge Mario Bergoglio fu uno dei cinque figli di immigrati italiani. Suo padre, Mario, era contabile delle ferrovie statali, mentre sua madre, Regina Sívori, era casalinga.
Cresciuto nel vivace quartiere di Flores, una zona di classe medio-bassa nel centro di Buenos Aires, il giovane Jorge trascorse molto tempo con la sua amata nonna Rosa, alla quale attribuì il merito di averlo introdotto alla fede.
Il momento decisivo nel discernimento della sua vocazione arrivò il 21 settembre 1953, quando, durante una confessione, visse un’esperienza di incontro con la misericordia di Dio che gli cambiò la vita. “Non so cosa sia successo, non lo ricordo, non so perché ci fosse lì quel sacerdote, che non conoscevo, né perché avessi sentito quel desiderio di confessarmi, ma la verità è che Qualcuno mi aspettava. Mi stava aspettando da tempo. Dopo la confessione ho sentito che qualcosa era cambiato.”
“Non ero più lo stesso. Avevo sentito come una voce, una chiamata: ero convinto che dovevo farmi sacerdote”, raccontò il Santo Padre nel 2013.
Dopo aver completato gli studi come tecnico chimico, entrò in un seminario diocesano. Nel 1958 iniziò il noviziato nella Compagnia di Gesù, fu ordinato sacerdote nel 1969 e fece la professione perpetua nei gesuiti nel 1973.
In breve tempo ricoprì incarichi di crescente responsabilità. Fu nominato provinciale dei gesuiti in Argentina nello stesso anno della sua professione perpetua, all’età di soli 36 anni.
Ricoprì tale ruolo per sei anni, un periodo segnato dalle turbolente conseguenze del Concilio Vaticano II — che scossero le pratiche consolidate della Compagnia di Gesù — e dalla tristemente nota “Guerra Sporca” in Argentina (1976-1983), durante la quale la giunta militare torturò e fu responsabile della scomparsa di migliaia di dissidenti e oppositori politici.
Gli orrori della Guerra Sporca instillarono nel giovane sacerdote gesuita una profonda e duratura avversione verso le ideologie politiche, di destra come di sinistra.
E sebbene alcuni gesuiti dell’America Latina e dell’America Centrale avrebbero poi abbracciato elementi marxisti della teologia della liberazione e della lotta rivoluzionaria, lui e la maggior parte dei suoi confratelli argentini rifiutarono quella strada.
La corrente argentina della teologia della liberazione — nota come “teologia del popolo” —, “non ha mai utilizzato categorie di tipo marxista o l’analisi marxista della società”, come spiegò il compianto gesuita Juan Carlos Scannone nel libro Francesco, nostro fratello, nostro amico. “Il lavoro pastorale di Bergoglio va compreso in questo contesto”.
Leadership con controversie
Nel destreggiarsi tra le insidie del panorama politico di quel periodo, padre Bergoglio suscitò forti controversie intraprendendo riforme nella provincia gesuita locale. Lui stesso ammise che gran parte dei contrasti derivarono dal suo stile di leadership autoritario. “Bisognava affrontare situazioni difficili, e io prendevo decisioni in modo brusco e personalista”, disse in un’intervista del 2013. “Il mio modo autoritario e sbrigativo di decidere mi ha portato a gravi problemi e ad essere accusato di ultraconservatorismo.”
Dopo l’incarico di provinciale, tra il 1980 e il 1986 fu rettore del seminario gesuita di San Miguel. Anche questo periodo fu segnato da divisioni, con critiche secondo cui cercava di riportare l’istituto a orientamenti anteriori al Concilio Vaticano II, in contrasto con le pratiche gesuite più moderne diffuse in altre aree dell’America Latina.
“Non era, come alcuni hanno sostenuto, un conservatore che voleva riportarli all’era preconciliare, bensì un riformatore, come Benedetto XVI, che si opponeva ai tentativi di conformare la Chiesa al mondo in nome della modernità”, dichiarò al National Catholic Register il biografo papale Austen Ivereigh, riferendosi all’allontanamento di P. Bergoglio dai gesuiti locali e al suo successivo “esilio interno” nella Compagnia di Gesù, durato fino alla sua elezione al soglio pontificio.
Dopo aver lasciato l’incarico nel seminario, nel 1986 si recò in Germania per completare il dottorato. Al ritorno, mantenne inizialmente una certa influenza tra i gesuiti locali. Ma nel 1990, poco più che cinquantenne e con i suoi detrattori ormai prevalenti, P. Bergoglio fu trasferito fuori da Buenos Aires per servire come direttore spirituale e confessore nella Residenza gesuita di Córdoba, in Argentina. Si trattò di una misura disciplinare approvata dal P. Peter-Hans Kolvenbach, superiore generale della Compagnia di Gesù — un momento che Francesco ricorderà, da Papa, come “una grande crisi interiore” in un’intervista del 2013.
Ciononostante, l’austerità di P. Bergoglio, la sua vicinanza ai poveri e la sua capacità di servizio umile e concreto ispirarono un gruppo di giovani gesuiti ad imitare il suo stile sacerdotale, sia durante che dopo il suo turbolento mandato come provinciale e rettore.
“Quando noi ci alzavamo alle 6:30 o 7:00 per andare a messa, Bergoglio aveva già pregato e lavato lenzuola e asciugamani per 150 gesuiti nella lavanderia”, ricorda l’arcivescovo di Córdoba e cardinale gesuita Ángel Rossi, ex allievo del futuro Papa, nel libro Francesco, nostro fratello, nostro amico.
Servizio episcopale
Nel 1992, su richiesta del Cardinale Antonio Quarracino, allora Arcivescovo di Buenos Aires, Papa San Giovanni Paolo II trasse inaspettatamente il P. Bergoglio dal suo “esilio” a Córdoba, nominandolo Vescovo Ausiliare di Buenos Aires. Nel 1997, il Pontefice lo nominò Arcivescovo coadiutore di Buenos Aires, con diritto di successione.
Alla morte di Quarracino nel 1998, Bergoglio divenne Arcivescovo Metropolita di Buenos Aires. San Giovanni Paolo II lo elevò al Collegio Cardinalizio nel 2001.
Come arcivescovo, evitò i privilegi del ruolo, viaggiando in metropolitana, vivendo in un appartamento semplice e dedicando gran parte del suo tempo ai poveri e a coloro che vivevano nelle periferie della città.
Allo stesso tempo, si mostrò politicamente astuto, senza timore di affrontare i leader politici argentini, e praticò alcuni elementi del peronismo, la piattaforma nazionalista della “terza via” del defunto leader argentino Juan Perón, che esaltava le radici cattoliche dell’Argentina e promuoveva la spesa sociale, pur rifiutando sia il marxismo sia il capitalismo.
«Il potere nasce dalla fiducia, non dalla manipolazione, dall’intimidazione o dall’arroganza», disse il Cardinale Bergoglio in un’omelia del 2006, con un chiaro riferimento al governo argentino dei Kirchner, che aveva adottato un approccio più di sinistra al peronismo e si scontrò più volte con l’arcivescovo su questioni morali.
Al di là dell’Argentina, il suo ruolo di rilievo nel 2007 ad Aparecida (Brasile) lo rese una figura di spicco nella Chiesa universale. Scrivendo nel 2012 sulla rivista First Things a proposito del documento finale, l’autore cattolico statunitense e biografo di Giovanni Paolo II, George Weigel, ne sottolineò l’approccio evangelico.
«La prima cosa da notare del Documento di Aparecida è il suo forte impulso evangelico: tutti nella Chiesa, scrivono i vescovi, sono battezzati per essere “discepoli missionari”», osservò con approvazione Weigel, in parole che anticipavano quasi la visione di Francesco per il pontificato. «Ogni luogo è territorio di missione, e tutto nella Chiesa deve essere animato dalla missione».
Un pontificato delle periferie
Otto anni dopo essere presumibilmente arrivato secondo nel conclave del 2005 che elesse Papa Benedetto XVI, il Cardinale Bergoglio fu scelto dal Collegio dei Cardinali per succedergli.
Il nuovo Pontefice — il primo non europeo dopo Papa Gregorio III nel 741 — indicò chiaramente il tono del suo pontificato. «Sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo… ma eccoci qui», disse dalla loggia della Basilica di San Pietro la sera della sua elezione.
Molte delle sue preoccupazioni in Argentina e ad Aparecida divennero le fondamenta del suo papato. Rifiutò le vesti papali tradizionali e si trasferì a Casa Santa Marta, la residenza per gli ospiti in Vaticano, invece degli appartamenti papali nel Palazzo Apostolico. Sottolineò continuamente la necessità di una Chiesa che “esca da sé per evangelizzare”, cercando e accompagnando coloro che si trovano nelle “periferie” dell’esistenza umana. Importanti massime del pontificato di Francesco — la Chiesa come “ospedale da campo”, l’invito a “uscire verso le periferie” e la necessità per i pastori di “avere l’odore delle pecore” — furono accompagnate da immagini forti: il Papa che lava i piedi a detenuti e a un giovane musulmano il Giovedì Santo, che abbraccia un uomo sfigurato in Piazza San Pietro, che posa per selfie con i giovani.
Francesco tornò più volte sull’importanza di questo approccio evangelico. «La vera Chiesa è nelle periferie», affermò nel documentario Disney Amen – Francisco responde, uscito nell’aprile 2023.
Il suo primo viaggio fuori Roma fu verso la piccola isola mediterranea di Lampedusa (Italia), dove attirò l’attenzione sulla difficile situazione dei migranti irregolari che attraversano mari pericolosi per entrare in Europa. Parlò spesso del dramma di migranti e rifugiati, della divisione tra Nord e Sud del mondo, tra Paesi ricchi e in via di sviluppo, mettendo in guardia contro politiche economiche che sfruttano le nazioni più povere — riflesso della sua familiarità con il capitalismo visto da una prospettiva latinoamericana. Denunciò con forza quella che chiamò la “globalizzazione dell’indifferenza”, che ignora la sofferenza di chi è ai margini della società, e la “cultura dello scarto”, che considera deboli e vulnerabili come oggetti da buttare.
Un elemento ricorrente di questo sguardo alle periferie fu anche la critica agli sforzi delle nazioni ricche di imporre aborto, contraccezione e ideologia di genere nei Paesi poveri, in cambio di aiuti e sviluppo. Egli definì questo fenomeno come “colonizzazione ideologica”.
Queste condanne mostrarono come l’approccio di Papa Francesco alle periferie sfidasse l’idea che fosse unicamente sostenitore di agende sociali e politiche progressiste. Durante la sua visita in Ungheria nell’aprile 2023 — una nazione europea con un orientamento conservatore ritenuto in contrasto con le sue priorità — denunciò «il cammino nefasto delle ‘colonizzazioni ideologiche’, che eliminano le differenze — come nel caso della cosiddetta cultura dell’ideologia di genere — o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà — ad esempio, vantando come conquista un insensato ‘diritto all’aborto’, che è sempre una tragica sconfitta».
Lo stile comunicativo informale del Santo Padre — come le interviste con il defunto giornalista ateo italiano Eugenio Scalfari e i commenti improvvisati, in particolare nelle conferenze stampa in aereo — ha contribuito alla nascita di una sorta di magistero parallelo mediatico, spesso sfruttato da media cattolici laici e progressisti per affermare che stesse promuovendo importanti cambiamenti nella dottrina della Chiesa.
Un esempio emblematico si verificò nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Rio de Janeiro dopo la Giornata Mondiale della Gioventù del 2013, quando gli venne chiesto un parere su un caso concreto di un funzionario vaticano pentito e sulla presunta esistenza di una lobby gay in Vaticano.
Francesco rispose con una distinzione tra una persona che semplicemente è omosessuale e chi fa parte di una lobby o gruppo di pressione. «Se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?», disse. Molti media interpretarono questa frase come un allentamento della posizione morale della Chiesa sugli atti omosessuali, senza che il Vaticano fornisse successivamente chiarimenti significativi.
Il Papa cercò anche di costruire ponti con la comunità internazionale attraverso parole e azioni. Le due encicliche scritte interamente durante il suo pontificato, Laudato si’ (2015), sul prendersi cura della casa comune, e Fratelli tutti (2020), sulla fraternità e l’amicizia sociale, furono ben accolte dalla stampa internazionale.
In tutto, Francesco ha scritto quattro encicliche, accompagnate da sette esortazioni apostoliche e 75 documenti motu proprio, rendendolo uno dei Papi più prolifici dal punto di vista del magistero.
Il suo discorso e la benedizione Urbi et Orbi del marzo 2020, pronunciati in una Piazza San Pietro vuota e sotto la pioggia durante la pandemia di COVID-19, così come il suo ruolo di pacificatore nel ristabilire le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba e la disponibilità a mediare per porre fine all’invasione russa dell’Ucraina, contribuirono a consolidare la figura di Francesco come padre spirituale non solo per la Chiesa, ma per il mondo intero. Nel 2024 è diventato il primo Papa a partecipare al vertice G7, invitando i leader mondiali a riflettere sulle sfide e le promesse dell’intelligenza artificiale (IA).
Il desiderio di dialogo del Papa lo portò anche a firmare, nel 2018, un accordo segreto con Pechino sulla nomina dei vescovi, che suscitò forti opposizioni. L’accordo fu definito da difensori dei diritti umani e altri critici come un’“incredibile tradimento” e “assolutamente incomprensibile”, poiché la Cina intensificò la repressione della libertà religiosa e violò ripetutamente l’intesa.
Nonostante ciò, il Vaticano non fece marcia indietro e insistette sulla necessità di pazienza affinché l’accordo potesse dare frutti, nonostante le frequenti violazioni da parte del regime comunista e l’applicazione sempre più dura del programma di “sinizzazione”, che impone a tutte le religioni di conformarsi ai principi del comunismo e di essere indipendenti da ogni influenza straniera.
Il Cardinale Marc Ouellet, prefetto del Dicastero per i Vescovi durante il pontificato di Francesco, disse che la capacità del defunto Pontefice di suscitare interesse per la Chiesa cattolica anche tra chi è lontano era un segno del suo “stile missionario”.
«Un missionario è sulle frontiere, è in cerca dei lontani», dichiarò il porporato canadese in un’intervista a EWTN News nel febbraio 2023.
Riforma interna
L’enfasi esterna di Francesco ha avuto il suo contrappeso nei seri sforzi volti a riformare le strutture interne della Chiesa cattolica, per liberarla e permetterle di concentrarsi maggiormente sulla missione e sul servizio. Fin dall’inizio, il Papa ha nominato un Consiglio di Cardinali per assisterlo nella riforma della Curia e della Chiesa. I lavori di questo consiglio si sono conclusi nel marzo 2022 con la promulgazione di una nuova costituzione apostolica per la Santa Sede, Praedicate Evangelium, che ha permesso ai dicasteri vaticani di essere guidati anche da laici cattolici e ha posto una maggiore enfasi sull’evangelizzazione.
La Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, fondata nel 1622, e il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, istituito da Benedetto XVI nel 2010, sono stati unificati nel Dicastero per l’Evangelizzazione, presieduto direttamente dal Papa, che ha così preso il primo posto tra gli uffici vaticani, superando per importanza il Dicastero per la Dottrina della Fede.
Francesco ha anche affrontato diversi aspetti delle finanze vaticane, inclusi alcuni scandali attuali. Il Papa stesso è stato coinvolto nel caso di una grande frode che ha portato, nel 2023, al processo e alla condanna di uno dei suoi collaboratori più stretti, il cardinale Angelo Becciu, accusato di malversazione di fondi.
Il Pontefice ha inoltre attuato una serie di riforme per affrontare il flagello degli abusi sessuali commessi da membri del clero, iniziando nel 2014 con la creazione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, guidata dall’allora arcivescovo di Boston, cardinale Seán O’Malley, anch’egli membro del Consiglio dei Cardinali.
Nel 2019, Francesco ha organizzato un vertice globale sul tema, dal quale è scaturito il documento Vos estis, volto a rafforzare le misure per fare giustizia nei confronti dei sacerdoti abusatori e responsabilizzare i vescovi nella gestione delle accuse di abuso.
Tuttavia, il modo di governare del Santo Padre presentava alcune particolarità. Da un lato, si fidava spesso più della propria intuizione che dei protocolli istituzionali. Dall’altro, tendeva ad accentrare le decisioni, un atteggiamento che ha potuto comportare punti ciechi nella sua lotta contro gli abusi nella Chiesa.
«Un pugno di sacerdoti, vescovi e cardinali di cui Francesco si è fidato nel corso degli anni sono stati accusati di comportamenti sessuali inappropriati, condannati per tali atti o accusati di insabbiamento», scriveva nel 2020 Nicole Winfield, corrispondente dell’AP a Roma. Ciò si riferisce, ad esempio, al fatto che inizialmente il Papa non diede credito alle accuse contro il vescovo Barros in Cile – rivelatesi poi vere – o al suo apparente disinteresse iniziale nei confronti delle denunce contro l’ex cardinale Theodore McCarrick, fino a che non divennero pubbliche nel 2018.
Non sono mancate nemmeno polemiche riguardo alla consapevolezza di Francesco nel caso del noto artista e sacerdote sloveno Marko Rupnik, espulso dalla Compagnia di Gesù, accusato di abusi sessuali, brevemente scomunicato e infine espulso dai gesuiti. Alla fine del pontificato, gli scandali di abusi sessuali riecheggiavano ancora in Paesi come la Bolivia e il Portogallo.
Le critiche sulla gestione delle crisi di abusi raggiunsero un nuovo livello nel 2018, quando l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, accusò il Papa di negligenza nel caso McCarrick e ne chiese le dimissioni. Nel 2024, la retorica estrema di Viganò – che arrivò a definire Francesco un eretico – portò alla sua condanna per scisma da parte del Vaticano.
Papa della sinodalità
Uno dei progetti più significativi di Papa Francesco nella seconda metà del suo pontificato è stata l’implementazione della “sinodalità” nella vita della Chiesa.
Riprendendo la visione ecclesiale articolata ad Aparecida e nella Evangelii Gaudium, Francesco ha utilizzato il Sinodo dei Vescovi per modellare una Chiesa più attenta all’ascolto, una sorta di “piramide rovesciata” che prendeva il Popolo di Dio come punto di partenza e che ha notevolmente elevato il profilo della Segreteria Generale del Sinodo, guidata dal suo segretario generale, il cardinale maltese Mario Grech.
Tuttavia, molti critici temevano che il suo approccio si discostasse dalla visione di San Paolo VI riguardo al Sinodo dei Vescovi, indebolendo l’autorità di Roma, generando confusione tra i fedeli e aprendo la strada a cambiamenti dottrinali in diversi ambiti.
Durante i Sinodi dedicati alla famiglia e al matrimonio, ai giovani e all’Amazzonia, si sono svolti dibattiti aperti, in cui alcuni leader della Chiesa hanno chiesto esplicitamente modifiche alla disciplina ecclesiastica per rispondere alle nuove realtà pastorali, arrivando persino a proporre l’accesso delle donne a una forma di diaconato.
L’esortazione apostolica post-sinodale del 2016, Amoris Laetitia (“La gioia dell’amore”), redatta dopo i Sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015, suscitò scalpore per ciò che i critici ritennero l’introduzione di condizioni per cui i divorziati risposati civilmente potessero ricevere la Comunione. I vescovi e le diocesi offrirono interpretazioni divergenti del documento, e quattro cardinali presentarono nel settembre 2016 cinque domande, o dubia, chiedendo chiarezza in mezzo a una “grave disorientazione e grande confusione”, alle quali il Papa non rispose. Le successive dubia inviate a Roma nel 2023 ricevettero invece risposta dal nuovo Prefetto della Dottrina della Fede, il cardinale Víctor Manuel Fernández, che sembrò confermare l’interpretazione più ampia possibile.
Nel frattempo, alcuni laici cattolici radicali in Germania, con il sostegno della maggioranza dei vescovi tedeschi, trovarono ispirazione nell’approccio del Papa e avviarono il proprio Cammino Sinodale, per chiedere cambiamenti nella dottrina della Chiesa sul celibato sacerdotale, le unioni omosessuali e l’ordinazione delle donne.
Pur definendolo “elitario”, “inutile” e “ideologizzato”, Francesco non riuscì a fermare il processo sinodale tedesco, che rischiava di sfociare in uno scisma.
Contemporaneamente, il Pontefice dovette affrontare il malcontento di alcuni prelati conservatori, preoccupati che la sua ambiguità dottrinale, la gestione della crisi degli abusi e il disprezzo mostrato verso certi membri della Chiesa per il loro clericalismo e rigidità, potessero confondere i fedeli e demoralizzare sacerdoti e seminaristi.
Francesco provocò anche forti reazioni con il suo atteggiamento verso le comunità legate alla Messa tradizionale in latino. Traditionis Custodes, il suo motu proprio del 2021 che ne limitava la celebrazione, sorprese i seguaci del rito antico e portò anche alcuni alleati progressisti del Papa a ritenere che il linguaggio severo del documento e la sua decisa applicazione rappresentassero un’inattesa contraddizione con l’appello del Papa a una Chiesa dell’ascolto. Altri, come l’arcivescovo Augustine Di Noia, domenicano ed ex funzionario vaticano, sostennero invece che l’intervento del Papa fosse necessario per evitare la falsa idea che la Messa pre-conciliare rappresentasse la vera liturgia della vera Chiesa.
Una grande controversia sorse anche attorno al documento pubblicato dal cardinale Fernández a fine 2023, Fiducia Supplicans, che consentiva benedizioni non liturgiche per coppie dello stesso sesso e per coppie in situazioni irregolari. Il decreto suscitò forti divisioni tra i vescovi di tutto il mondo, e quasi tutti i vescovi africani si rifiutarono di applicarlo, affermando in una dichiarazione ufficiale del gennaio 2024 che “ha seminato idee errate e inquietudine nella mente di molti fedeli laici, religiosi e persino pastori”.
Ciononostante, Francesco è rimasto coerente in aree chiave della dottrina cattolica. Con il decreto Dignitas Infinita del 2024, pubblicato dal Dicastero per la Dottrina della Fede, ha ribadito l’insegnamento perenne della Chiesa sulla dignità della persona umana.
Senza lasciarsi intimidire dalle critiche, il Santo Padre ha proseguito con determinazione la sua visione di una Chiesa sinodale, avviando nel 2021 un processo consultivo globale di più anni, culminato nei due “Sinodi della Sinodalità” a Roma, nell’ottobre 2023 e ottobre 2024.
In una decisione senza precedenti, Francesco ha scelto di non scrivere un’esortazione apostolica post-sinodale al termine del Sinodo, preferendo applicare direttamente il documento finale. “Quello che abbiamo approvato nel documento è sufficiente”, ha dichiarato, segnando un cambiamento storico nel modo di attuare le riforme sinodali.
Francesco aveva l’intenzione chiara di porre la Chiesa su un cammino dal quale, istituzionalmente e persino teologicamente, sarebbe stato difficile tornare indietro. Ciò è risultato particolarmente evidente nella sua scelta, nel 2023, del suo amico, l’allora arcivescovo Víctor Manuel Fernández, teologo argentino e “ghostwriter” di molti degli scritti principali di Francesco – tra cui Laudato si’ e soprattutto Amoris Laetitia – come nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede e membro del Collegio cardinalizio. Nella lettera che accompagnava la sua nomina, Francesco chiese al nuovo prefetto di verificare “che i documenti del Dicastero e degli altri abbiano un adeguato fondamento teologico, siano coerenti con il ricco humus dell’insegnamento perenne della Chiesa e, allo stesso tempo, accolgano il Magistero recente”, cioè gli scritti di Francesco dell’ultimo decennio, molti dei quali redatti dallo stesso cardinale Fernández.
Con le porte aperte
Sotto la guida di Papa Francesco, la Chiesa si è trasformata in un autentico “ospedale da campo” per un’umanità ferita, in una casa con le porte sempre aperte. Il suo messaggio centrale — che la Chiesa è per tutti, specialmente per i più bisognosi e per coloro che si sono allontanati — ha risuonato fortemente, dentro e fuori la comunità cattolica.
La sua determinazione nel raggiungere i margini si è riflessa non solo nella pastorale sociale, ma anche nei viaggi apostolici in zone periferiche, trascurate da altri pontefici: l’isola greca di Lesbo, devastata dalla crisi dei migranti; la Repubblica Centrafricana, lacerata dalla guerra; l’Iraq, segnato da decenni di violenza e persecuzione; la Mongolia, con una minuscola presenza cattolica; e le strade fangose del Sud Sudan, dove ha visitato i rifugiati, inginocchiandosi per baciare i piedi ai leader politici locali nella speranza che facessero la pace.
Nel suo stile inconfondibile, Francesco ha compiuto gesti che hanno toccato il cuore delle persone comuni e che probabilmente resteranno impressi nella memoria collettiva ben più delle sue decisioni istituzionali: la visita a sorpresa in una lavanderia per i poveri; l’invito a pranzare con i senzatetto in Vaticano; le benedizioni ai neonati e le carezze ai malati nei suoi giri tra la folla in Piazza San Pietro; i colloqui telefonici personali con quanti gli scrivevano lettere piene di dolore e speranza.
Papa Francesco ha anche richiamato fortemente l’attenzione mondiale sulla crisi climatica e sulla necessità di un’economia al servizio dell’uomo, sfidando non solo i governi e i potenti della terra, ma anche i cristiani stessi a un esame di coscienza. La sua enciclica Laudato si’ ha avuto un impatto planetario ed è stata accolta anche in ambienti lontani dalla Chiesa.
Per molti, tutto ciò ha restituito credibilità alla figura del Papa e ha ridato umanità a un’istituzione spesso percepita come distante.
Tuttavia, il suo pontificato non è stato privo di tensioni interne. Alcuni cardinali e vescovi hanno manifestato preoccupazione per un’apparente mancanza di chiarezza dottrinale e per uno stile decisionale talvolta percepito come autocratico, specialmente nei casi di dimissioni forzate di alcuni prelati o nelle nomine di vescovi in rottura con le consuetudini locali.
Anche le riforme avviate, sebbene ispirate da un forte slancio pastorale, restano in molti casi incomplete o ancora da verificare nella loro applicazione concreta. La Curia romana è stata ristrutturata, ma persistono resistenze. Le questioni legate agli abusi sono state affrontate con maggiore decisione rispetto al passato, ma non senza ombre.
Eppure, a più di dieci anni dall’inizio del suo pontificato, Francesco ha inciso profondamente sulla fisionomia della Chiesa del XXI secolo. Ha scosso abitudini consolidate, aperto nuovi percorsi di riflessione, rimesso al centro il Vangelo vissuto tra i poveri, i migranti, gli anziani, gli scartati.
Con tutti i limiti umani che egli stesso ha sempre riconosciuto, ha testimoniato che la riforma della Chiesa non è anzitutto questione di strutture, ma di conversione. Una conversione che inizia dal cuore, e che si misura — come lui stesso ha detto tante volte — con la capacità di “piangere con chi piange” e di “non avere paura della tenerezza”.
Tradotto e adattato dal team di ewtn.it. L’originale si trova qui.