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Il Beato Angelico, i colori di Dio

L'Annunciazione del Prado, Beato Angelico, 1435 | L'Annunciazione del Prado, Beato Angelico, 1435 | Credit pd

Oggi la memoria del Beato Angelico, il frate domenicano Patrono degli artisti

Vicino al Pantheon, si erge una chiesa: è Santa Maria sopra Minerva. Una facciata semplice, senza troppi fronzoli. Si entra dentro e si rimane subito a bocca aperta: un cielo stellato intervallato da volte a crociera. Qui è sepolta la grande Santa d’Europa, Santa Caterina da Siena. E vicino al grande e magnifico altare maggiore, quasi nascosto vi è anche il corpo del Beato Angelico, ossia Fra Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1982 e proclamato Patrono degli artisti. 

Stare di fronte a una sua opera è come poter accedere – almeno per un momento – al Paradiso, alla sua incredibile luce. Già nelle sue prime opere tutta la sapienza del colore e dello stile: ad esempio, nel “Trittico di San Pietro martire”, commissionato dalle suore di San Pietro Martire di Firenze e realizzato tra 1428 e il 1429, troviamo una sublime fusione tra Gentile da Fabriano e Masaccio. Tra il 1424 e il 1425 eseguì la prima delle tre tavole per gli altari della chiesa di San Domenico: la cosiddetta Pala di Fiesole, tra le prime opere attribuite con certezza al Beato Angelico. 

Ma forse, una delle opere che rimarrà per sempre nella storia dell’arte è l’Annunciazione detta “del Prado”: una luce che ha tutto il sembiante di un cristallo, avvolge i personaggi. E’ detta “del Prado” perché è conservata nel Museo del Prado a Madrid, databile alla metà degli anni trenta del Quattrocento. L’opera è probabilmente la terza di una serie di tre grandi tavole dell’Annunciazione dipinte dall’Angelico negli anni trenta del Quattrocento. L’opera venne dipinta per il Convento domenicano dedicato a San Domenico: in questo luogo era religioso domenicano lo stesso Angelico. Una pala facente parte  delle tre grandi pale d’altare di sua mano che decoravano la chiesa. Opera sublime, dove si fonde lo spirito con l’umano grazie ai personaggi coinvolti nella scena: la Vergine Maria con le sue mani giunte, china un po’ il capo quasi turbata dalla venuta dell’Angelo Gabriele che le reca l’Annuncio. A sinistra, l’artista pone la cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden. E’ Maria la nuova Eva. 

Altra sublime opera, “L’Incoronazione della Vergine”: del tema esistono due versioni. Quella conservata agli Uffizi di Firenze e quella del Louvre, che risalgono rispettivamente al 1432 e al 1434-1435. Il Beato Angelico mantenne il suo laboratorio di San Domenico fino a buona parte del 1440. Pietra miliare dell’arte del Rinascimento con la loro armonia e semplicità, gli affreschi di San Marco sono anche i più celebri del Beato Angelico. I fatti evangelici, privi di distrazioni decorative, vengono per la prima volta letti con un’efficacia incredibile: lo spettatore-lettore riesce così ad entrare nell’opera immediatamente. 

Nella seconda metà del 1445, il pittore fu chiamato a Roma da Papa Eugenio IV. Nella città soggiornò dal 1446 al 1449, nel convento di Santa Maria sopra Minerva. L’unica sua commissione papale superstite è rappresentata dagli affreschi della Cappella Niccolina, nel Palazzo Apostolico Vaticano. La sua ultima opera fu “L’Adorazione dei Magi”, iniziata forse nel 1455 e completata dall’artista Filippo Lippi.

Fra Giovanni da Fiesole morirà a Roma il 18 febbraio del 1455. Il corpo giace lì, in Santa Maria sopra Minerva, ma il suo spirito vive nelle opere che ha creato e che ancora oggi rappresentano una delle massime rappresentazioni del Rinascimento italiano. 

Questo articolo è stato pubblicato su ACI Stampa e ripreso dal team di EWTN Italia

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Antonio Tarallo

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