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Letture: l’Oro di Pavel Florenskij

Pavel Aleksandrovič Florenskij | | Wikipedia

Per la prima volta viene presentato e tradotto in italiano l’ultimo testo scritto da Florenskij nel gulag sovietico delle isole Solovki

Di Caterina Maniaci

Oro, radice del vocabolo oroceno, popolo di etnia mongola dell’estremo oriente siberiano, incarnazione poetica del figlio lontano a cui il pensiero struggente si avvince. Oro come il metallo prezioso ma soprattutto come la luce eterna dal cui fondo emergono le immagini delle icone, manifestano concreta dell’Invisibile nel visibile, vicinanza e insieme lontananza del sacro, del divino. Epifania del Mistero e della Bellezza. Ancora una volta ci avviciniamo alla grandiosa figura di Pavel Florenskij tra ammirazione e stupore, per lui che è stato definito il Leonardo russo, sacerdote ortodosso, matematico, scienziato, teologo, scrittore, poeta, che nel 1934 viene imprigionato nel gulag sovietico delle isole Solovki, un arcipelago in prossimità del circolo polareartico. Fino a quel fatidico 8 dicembre 1937, quando viene fucilato, all’età di cinquantacinque anni, nei dintorni di Leningrado, oggi San Pietroburgo.

Per la prima volta viene presentato e tradotto in italiano e in una lingua europea, l’ultimo testoscritto da Florenskij, il poema Oro, scritto mentre è internato nell’inferno del gulag. Un vero eproprio ‘poema testamentario’, dedicato al figlio minore Mik (Michail 1921-1961).  

Oro è il canto di un padre, chiuso in un lager sovietico dal quale non uscirà mai più, per il giovane figlio che si affaccia alla vita, con l’idea, con la paura didi immaginare suo figlio che sarebbe diventato orfano.

Ma non c’è solo dolore, paura, con quello sguardo che arrivava dritto dall’inferno. Proprio inquell’esistenza incuneata nell’incubo concentrazionario il poeta invita il figlio ad affrontare l’esistenza con gli strumenti della curiosità, della concretezza, dell’ attenzione e in definitiva dell’amore per l’esistenza stessa, che non si lascia definire e che sfugge ad ogni logica.

‘Purtroppo, un noto grido / Dell’anima suona pure qui, nel fitto / bosco / Ma non importa quanto sia triste / Quanto sia penoso. La grandezza nel futuro / Non cambia ciò che ci è dato / Ora, adesso, ogni giorno. / Solo un’ombra fantasmatica / Cresce e si tende alquanto più lunga / Al tramonto dei nostri giorni. / Getto, gemma, fiore e frutto, / Tutto vive della propria gioia, / Una identica bellezza delizia gli occhi. / Non aspettare ma godi ora’, questi versi rivolti appunto al ragazzo-Oro che non deve lascirsi sopraffare dalla tristezza e dalla paura, godendo della piccola o grande gioia che comunque ci è data da vivere.

Oro è ora pubblicato in italiano, grazie all’editore Nino Aragno; questa preziosa edizione è curata da Lucio Coco, uno dei maggiori esperti del filosofo russo. E proprio lo studioso definisce quest’opera un ‘poema pedagogico’, partendo da un fatto innegabile, ossia la tragedia di un padre assente perché internato dalle autorità sovietiche, e di un figlio che che vive l’assenza del padre. 

L’amore del padre è forte, tenace, ma impotente, non nutrito di gesti reali, concreti, segnato sempre dalla disperazione e dall’ombra della sopraffazione e della morte. ‘Tu hai visto la luce, povero Mik / Quando tuo padre, in un momento di / torbidi, / Si salvò solo fuggendo e vivendo, Murato tra tombe”. E ancora, “Sono trascorsi anni tristi. / Ma mai, mai / Tuo padre si è dimenticato di te, / Mio piccolo fragile uccellino. / Io sono stato sempre pronto a strapparmi / Il cuore, purché la pace e la calma / Ti avvolgessero’.

Florenskij prova ad affiancare da lontano il cammino del figlio mentre comincia a vivere. E la voce così un poco incrinata arriva da molto lontano, dal mondo separato delle isole Solovki, dove è stato internato dal febbraio del 1933, e proprio qui Pavel Florenskij si mette a studiare il ghiaccio e riesce ad avere la visione della bellezza anche in quella gelida fissità. Il 27 novembre, al figlio Mik, Florenskij scrive di fiumi che ‘ghiacciano fino al fondo’, di ‘bellissime cascate di ghiaccio, come nel Regno addormentato’. Stupore e contemplazione, acqua che crea fantasmagorie e che purifica.

La fede, il rivolgersi a Dio è spontaneo quanto doloroso, perché non è facile sentire la Sua presenza nel buio del lager, quando l’ombra della morte si sta addensando sempre più velocemente. Eppure proprio in quel suo modo di guardare alla realtà, quel suo ostinato desiderio di lasciare un messaggio d’amore da consegnare al figlio, e in fondo a tutti i ragazzi che avrebbero rifondato il mondo, è una preghiera.

Nel folgorante saggio Le porte regali  che Florenskij scrive nel 1922,dove si dilunga sul significato dell’oro che, secondo lui, appartiene a una distinta sfera dell’essere, perché ha tono ma non colore, essendo pura riflessione: “[Lo sfondo dell’icona] è luce, per parlare iconicamente. Attiro la tua attenzione su questo termine importante: l’icona si dipinge sulla luce e di qui, come mi sto sforzando di chiarire, emerge tutta l’ontologia della pittura d’icone. La luce, come vuole la migliore tradizione dell’icona, si dipinge con l’oro, cioè si manifesta appunto come luce, pura luce, non come colore. Più precisamente, ogni rappresentazione emerge in un mare di dorata beatitudine,lavata dai flutti della luce divina. Nel suo grembo “viviamo e ci muoviamo ed esistiamo”, questo è lo spazio della realtà autentica. E perciò si capisce che sia normativa per l’icona la luce dorata: qualunque colore tirerebbe verso terra l’cona e attenuerebbe la visione che essa manifesta”.

Nell’icona l’eterno prende corpo e volto, emergendo dall’oro , e nell’oro il cuore contempla la vera pace. Nel buio del lager si spera che quella luce, anche se solo per un rapido bagliore, abbia potuto riapparire a quell’uomo grande e piegato.

Questo articolo è stato tradotto e adattato da ACI Prensa  

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