Vincenzo Guo Xijing aveva rifiutato di entrare nell’Associazione Patriottica nel 2020. Agli arresti domiciliari, da lì ha celebrato il suo 40esimo anniversario di sacerdozio
Le immagini diffuse da Asia News colpiscono perché raccontano una realtà che sembra non esistere. Perché mentre la Cina continua a nominare vescovi (tre nell’ultimo mese) sulla base dell’accordo provvisorio con la Santa Sede, e mentre la Santa Sede accetta di discutere con la Cina una nuova suddivisione delle diocesi più rispondenti ai criteri cinesi (una nuova diocesi eretta dall’inizio dell’anno), ancora ci sono vescovi agli arresti domiciliari perché non hanno aderito all’Associazione Patriottica, e da lì, tendendo una mano fuori dalla porta, sono costretti a celebrare anniversari importanti, come il loro quarantesimo di ordinazione.
È il caso del vescovo Vincenzo Guo Xijing. Questi, ai sensi dell’Accordo provvisorio tra Roman e Pechino, era stato indicato dalla Santa Sede nel ruolo di vescovo ausiliare di Mindong. Era vescovo sotterraneo della diocesi, ma il ruolo di vescovo “ufficiale” è andato a Vincenzo Zhan Silu, che era stato ordinato illegittimamente ma che, proprio a seguito dell’accordo, era stato riaccolto in comunione. –
Roma aveva dunque chiesto al vescovo che le era sempre stata fedele di fare un passo indietro, per permettere dunque una riuscita di un accordo che, sin dall’inizio, si era mostrato con diversi limiti, ma che comunque risultava necessario per poter avere un dialogo con Pechino e poter così creare una comunione con i vescovi cinesi.
Il vescovo Guo, nel 2020, aveva poi deciso di “abbandonare tutte le cariche della diocesi e di ritirarsi a vivere i preghiera”, perché – aveva affermato – “incapace di stare al passo con i tempi e con lo stile della Chiesa in Cina e specificamente nella diocesi di Mindong”.
La scelta derivava dalla sua volontà di non iscriversi all’Associazione Patriottica, l’agenzia di Stato dove tutti i vescovi sono chiamati da Pechino a registrarsi. Dopo la firma dell’accordo, c’era stata anche una crescente pressione da parte delle autorità di Pechino affinché i vescovi che non lo avevano ancora fatto si registrassero, pressioni cui il Cardinale Fernando Filoni, allora prefetto di Propaganda Fide, rispose con un articolo sull’Osservatore Romano in cui metteva in luce come niente nell’accordo prevedesse una affiliazione ad organismi statali.
Sono queste le premesse che hanno portato il vescovo Guo agli arresti domiciliari, da dove ha celebrato i 40 anni di ordinazione sacerdotale. I video diffusi lo mostrano incontrare i fedeli e distribuire la comunione tra le sbarre di un cancello, mentre anche la cappella nella sua residenza è stata sigillata, e una catena chiude il cancello della sua residenza e gli impedisce di ricevere visite.
Il vescovo Guo ha celebrato i 40 anni di ordinazione sacerdotale lo scorso 25 gennaio. Le immagini lo mostrano offrire una fetta di torta tra le sbarre agli amici che gli hanno fatto visita, le stesse sbarre da cui distribuisce l’Eucarestia. La gente continua a portare rosari e oggetti religiosi da far benedire al presule.
Guo sarebbe agli arresti dallo scorso Natale, a seguito di ulteriori pressioni del governo cinese sui sacerdoti locali perché si registrino negli organismi ufficiali imposti dal Partito Comunista. Guo non si è registrato, ma è in buona compagnia: ci sono vari sacerdoti del nord del Fujan che non hanno accettato di diventare parte di una autorità governativa.
Tra l’altro – nota Asia News – il vescovo di Mindong Zhan Silu aveva partecipato qualche settimana prima al Sinodo in Vaticano. È interessante che la Cina abbia inviato al Sinodo un vescovo che era stato riaccolto alla comunione con Roma.
La denuncia della situazione in cui vive il vescovo Guo entrano in una cornice che sembra essere di buone relazioni tra Pechino e Santa Sede, ma che comunque nasconde delle insidie. La Santa Sede ha approvato, ad esempio, il trasferimento del vescovo di Xiamen Cai Bingruj alla diocesi di Fuzhou, il capoluogo del Fujan, una delle sedi storicamente più importanti della Cina e dove comunque l’unità tra vescovi “ufficiali” e “sotterranei” è ancora tutta da definire.
Il vescovo Cai Bingrui aveva preso il posto del vescovo Pietro Lin Jashan, l’anziano arcivescovo proveniente dalla Chiesa “sotterranea” che Pechino aveva riconosciuto nel 2020, ma che poi era morto nel 2023 all’età di 88 anni.
Tra l’altro, la nota vaticana definisce Cai Bingrui come “vescovo” e Fuzhou come “diocesi”, confermando anche in questo caso la geografia ecclesiastica imposta dalle autorità di Pechino, che non annovera metropolie.
Fuzhou è un luogo fondamentale nella storia dell’evangelizzazione in Cina: nel 1624 proprio qui il gesuita e matematico Giulio Aleni (1582-1649) – discepolo di Matteo Ricci – fu pioniere dell’incontro con la cultura cinese nella tarda dinastia dei Ming.
Oggi, il Fujan è un’area particolarmente importante, perché economicamente importante, luogo da cui è iniziata l’ascesa ai vertici del partito comunista da parte di Xi Jinping, e prima linea del confronto con Taiwan, che si trova ad appena 120 chilometri dal mare.
Quando Cai fu ordinato nel 2010 a Xiamen era, tra l’altro, presente anche il vescovo emerito di Taipei Giuseppe Cheng Tsai-fa, a rappresentanza dei molti cattolici di Taiwan che arrivavano in visita da lì.
Nelle ore in cui veniva resa nota la nomina del vescovo Cai a Fuzhou, l’anziano presule “sotterraneo” Giuseppe Lin Yuantuan ha diffuso un biglietto in cui dice che la Santa Sede “auspica la sua collaborazione attiva nel guidare il clero, le suore e i fedeli di Fuzhou affinché siano obbedienti e sostengano il vescovo Cai Bingrui“.
Il che – però – è anche un modo per ricordare che, al di là delle nomine, l’unità è un cammino ancora da compiere fino in fondo nel Fujian, come dimostra la vicenda del vescovo Guo.
Questo articolo è stato tradotto e adattato da ACI Prensa