Il ritratto della fede cattolica italiana in un rapporto del Censis commissionato dalla Cei
L’Italia rimane un Paese cattolico, ma la pratica religiosa sta diminuendo e divenendo sempre più individualista oltre a trovare difficoltà nell’esperienza data dalla comunità ecclesiale. Sembra essere questo il ritratto dato da una ricerca condotta dal Censis per conto della Conferenza episcopale italiana. L’indagine è stata svolta su un campione rappresentativo di 1.000 intervistati. Il periodo di acquisizione dei dati: dal 27 settembre al 1° ottobre scorso.
Veniamo, ora, ai numeri: gli italiani che si definiscono cattolici sono il 71,1% della popolazione. Ma solo il 15,3% si dice praticante, mentre il 34,9% dichiara di partecipare solo occasionalmente alle attività della Chiesa. Un buon 20,9%, invece, si dichiara “cattolico non praticante”. Significativo il dato dei giovani (la fascia di età va dai 18 ai 34 anni):in questo caso, i giovani cattolici sarebbero solo il 58,3%. Di questi, solo il 10,9% si dichiarano “praticanti”. Tra questi, poco meno del 15% dice di non ritrovarsi dentro la Chiesa così com’è oggi. E perché? La risposta che troviamo in questo studio del Censis evidenzia che il 45,1% degli intervistati non si ritrova nella Chiesa perché “troppo antica”; mentre il 27,8% perché non vede “una linea chiara” nella Chiesa stessa. Il discredito nei confronti dell’esperienza ecclesiale viene anche dalla questione degli abusi: per via di questa situazione quasi 7 italiani su 10 (6 su 10 per i praticanti) la Chiesa non può essere credibile.
Un altro dato emerge ben distinto dal rapporto Censis: l’Italia, nella sua identità culturale, rimane cattolica: il 79,8% degli intervistati afferma che la sua base culturale è di ispirazione cattolica; mentre solo il 5,4% della popolazione dichiara di essere stato educato in un ambito “anti-cattolico”. Infine, altro dato importante è questo: il 61,4% si dice d’accordo con l’affermazione che il cattolicesimo è parte integrante dell’identità nazionale. Della stessa idea sono anche i non credenti con il 41,4%.
Il motivo – sia per i giovani che meno giovani – per cui non si dicono praticanti è stato: perché vivono “interiormente” la fede. Quindi, sempre di più, si sta accentuando la forchetta di persone che pensano di vivere la fede fuori da un contesto ecclesiale, di comunità.
Assai significativo, poi, il dato che riguarda i contenuti della fede:per il 45,5% degli italiani le parole di Gesù sono tra gli insegnamenti spirituali migliori di cui disponiamo. Riguardo sempre gli insegnamenti di Cristo, per il 16,3%, riescono ad ispirare la vita.
Uno dei dati che più fa riflettere è che, per quanto riguarda la vita dopo la morte, il 58% degli abitanti della Penisola crede che esista.Ma il dato che dovrebbe davvero interrogare è che la percentuale dei praticanti che crede nella vita dopo la morte è – sedondo sempre il rapporto Censis – l’87,7%.
Percentuali, numeri, persone: tutto in un rapporto che mette in evidenza una certa confusione tra i cattolici e che registra un aumento sostanziale di una fede “fai da te” o comunque individualista. Manca il confronto con gli altri. Manca il sentirsi “ecclesia”, assemblea, nella Chiesa.
Questo articolo è stato tradotto e adattato da ACI Prensa