Concluso il convegno “dal Concilio al sinodo, rilettura di un cammino di chiesa a sessant’anni dalla Lumen Gentium”, organizzato presso la Pontificia Università Gregoriana
“Il tema del convegno disegna come si può evincere dal titolo un cammino. E l’indicazione del cammino va ben al di là di una questione di tempo, i sessant’anni che intercorrono tra Lumen Gentium e la celebrazione della seconda sessione del sinodo, l’indicazione di tempo, del tempo che passa e manifesta lo sviluppo di un qualsiasi soggetto, personale o comunitario che sia, ma il cammino dice la distanza percorsa nel tempo. Il territorio che si è attraversato, l’esperienza che si è maturata. La Chiesa è soggetto storico comunitario, in cammino nel tempo verso il Regno. E camminando questo soggetto conosce, impara, fa esperienza e la strada si fa camminando”. Lo ha detto Don Dario Vitali intervenendo all’ultima sessione del convegno “dal Concilio al sinodo, rilettura di un cammino di chiesa a sessant’anni dalla Lumen Gentium”, organizzato presso la Pontificia Università Gregoriana.
Don Vitali – coordinatore degli esperti teologi al Sinodo sulla sinodalità – ritiene che “non basta la ricostruzione degli eventi e dei processi storici. Ad ogni modello di chiesa corrisponde un modello di ministero. E ogni modello di ministero rivela un correlativo modello di chiesa. Come è accaduto per il modello piramidale di chiesa, che è stato un modello rigorosamente clericale. La correlazione vale anche per il ministero Petrino, che non costituisce un’eccezione. Gli esiti del sinodo che ha appena concluso la fase assembleare impongono di affrontare onestamente la questione del rapporto circolare tra primato, collegialità e sinodalità”.
Nel primo Millennio – spiega Don Vitali – “la chiesa è certamente una chiesa sinodale. La quale però ha un grave difetto. Un grave vulnus. Perché nel movimento centripeto dell’unità manca chi abbia l’autorità di convocare tutti. E quindi, guarda caso, l’unico che abbia autorità o che si assuma questa autorità non è il vescovo di Roma ma è l’Imperatore. Il cesaropapismo. E quindi al modello sinodale del primo millennio manca un elemento di questo processo, centripeto di costruzione dell’unità. Noi dobbiamo tenere presente questo vulnus, perché è un elemento fondamentale nel passaggio al secondo quadro”.
“Con i vescovi principi – prosegue Don Vitali – che diventano elettori dell’impero inizia il papato. Qui inizia il primato. Si passa dalla Chiesa di Roma al vescovo di Roma. La possibilità di affermare il primato passa per la sostituzione di persona. Dall’imperatore al Papa. Da colui che al vertice della piramide civile o della società cristiana a colui che sarà al vertice della Chiesa. E in questo senso la plenitudo potestatis è esattamente quello che determinerà la necessità di separare potestas ordinis e potestas iurisditionis”.
Con il Concilio Vaticano II ritorna all’ordine del giorno la questione della collegialità. E forse – aggiunge Vitali – “la via sinodale poteva essere quella di un’attuazione della collegialità. Al sinodo dei vescovi la presenza dei vescovi nominati dalle Conferenze episcopali dava importanza alle Conferenze episcopali, ma il Sinodo del 1969 tronca questo aspetto dicendo che ci sono solo due soggetti di istituzione divina nella Chiesa, il Papa per la Chiesa universale, il vescovo per la Chiesa particolare. E di conseguenza tutto il mondo di mezzo, tra Chiesa universale, chiese particolari risulta di carattere ecclesiastico, regolato dal diritto canonico”.
“Il quadro ecclesiologico – ha concluso – nel quale è stata pensata la collegialità, il quadro ecclesiologico nel quale è stata pensata la normativa della sinodalità è quello della Chiesa universale. E in questa direzione il sinodo del 1985 ha spinto. Abbiamo costruito una ecclesiologia di comunione che è finita nella precedenza ontologica e temporale della Chiesa universale sulle chiese particolari, così che ha determinato, almeno nel progetto, la derubricazione delle chiese locali di nuovo a configurazioni territoriali della Chiesa”. Allora si è passati attraverso il “recupero del popolo di Dio. E della sua soggettualità del sensus fidei. Una delle intuizioni più formidabili di questo sinodo che è così evidente all’interno del documento finale è quella dei luoghi. Ci rendiamo subito conto che siamo in un cambio di modello di chiesa. Sviluppiamo la comunione nella direzione della sinodalità. Senza cancellare la comunione, trasformando la comunione. Esattamente nella sinodalità, perché la sinodalità è la comunione. La comunione ha la forma della sinodalità. E non ha altra forma, perché mette in gioco i tre soggetti, popolo santo di Dio, collegio episcopale e Vescovo di Roma”.
A prendere la parola poi è stato il Cardinale Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi. “Il mio intento qui è di riflettere su come il Concilio Vaticano II abbia attraversato, innervato l’intero processo sinodale. E trovi nel documento finale non solo una memoria fedele, ma una eco fortissima del Concilio. Mi pare di poter dire che il Vaticano II è stato il modello ispiratore, l’orizzonte certo per il cammino compiuto fino ad oggi, una sorta di bussola per orientare il cammino della Chiesa, il nostro cammino”.
“Non è fuori luogo – ha ribadito il Cardinale Grech – parlare del sinodo come di un momento di recezione matura, o quantomeno più matura del Concilio. Intanto permettetemi di esprimere la gioia per l’approvazione del documento finale da parte del Santo Padre: il documento finale partecipa del magistero ordinario del Successore di Pietro”.
Circa il documento finale il porporato maltese ha sottolineato che è “interessante che l’Assemblea ha sottolineato come fosse necessario tenere in equilibrio nella stesura del testo le citazioni dei documenti Conciliari. Ai tanti richiami a Lumen Gentium e Dei Verbum doveva corrispondere una uguale a Gaudium et Spes., per ribadire una riflessione sulla Chiesa, non solo ad intra, ma attenta ai contesti, alle culture, alle questioni di senso che emergono nella nell’attuale cambio d’epoca. Si potrebbe dire che il documento finale ripropone la dottrina ecclesiologica del Concilio. In realtà si coglie qui un progresso in linea con il Concilio ma che fa notevolmente progredire la dottrina conciliare. Mentre infatti la Costituzione dogmatica sulla chiesa tratta distintamente nel primo capitolo la Chiesa come mistero e nel secondo la Chiesa come soggetto storico, il documento finale unisce le due prospettive, parlando della Chiesa come popolo di Dio e quindi identificando la Chiesa con il popolo di Dio e applicando al popolo di Dio tutte le dimensioni e le qualificazioni che il primo capitolo di Lumen Gentium, applicava alla Chiesa. Il documento finale rilegge il secondo capitolo della Lumen Gentium sul popolo di Dio alla luce del principio ecclesiologico della mutua interiorità. Vale la pena sottolineare come pure con uno stile narrativo il documento riprenda con insistenza, in termini assai puntuali, la dottrina del Concilio e gli dia una veste più armonica, a dimostrarlo basta il capitolo sulle relazioni. Dove si tratta la parte sui carismi, ministeri e vocazioni per la missione prima di quella sui ministri ordinati. Ma il documento finale non si limita a riprendere il Concilio: lo ripensa, lo traduce, lo incarna nei processi. Come nel caso della terza parte dedicata alla conversione dei processi. Qui la partecipazione ai processi decisionali è materia che il Concilio non aveva inteso toccare”.
“Come sarà recepito – ha concluso Grech – il documento finale che il Papa restituisce alla Chiesa? È da vedere. Una cosa però è certa, esso è il frutto di un processo sinodale. L’affermazione potrebbe sembrare scontata. Se Episcopalis Communio ha trasformato il sinodo dei Vescovi da evento in processo per fasi, il documento finale non può che essere il risultato finale di questo intero processo. Ma sta proprio qui la novità più forte che abbiamo vissuto. Per la prima volta tutta la Chiesa, tutti nella Chiesa, sono stati chiamati all’azione sinodale. Se lo abbiamo fatto o meno non importa. Ma il processo, il processo sinodale così come è stato tradotto ha permesso la partecipazione di tutto il popolo Santo di Dio”.
Nel documento finale – ha detto invece Padre Giacomo Costa, Segretario Speciale del Sinodo – “tra l’introduzione e la conclusione ci sono i racconti della risurrezione che poi attraversano tutto il documento finale. Tutto questo è lo sfondo, la meditazione che ha accompagnato il documento e penso che sia fondamentale per entrare veramente entrare nella comprensione di una chiesa sinodale”.
Circa il n. 60 del documento finale relativo al ruolo delle donne Padre Costa ha chiosato: “qualcuno ha detto che è un punto che assomiglia a un cammello. E il cammello è quello che avviene quando si progetta un cavallo e si da questo progetto a una Commissione e quindi viene fuori una cosa po’ strana. Forse però i cammelli affrontano i deserti, mentre i cavalli non ce la fanno ad affrontarli. Allora questo numero è un po’ come un cammello che ci permette di fare dei passi in questo deserto del capire come uomini e donne godano i pari dignità nel popolo di Dio”.