“La Chiesa è sempre Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca di perdono, e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi che si riconoscono poveri e peccatori”. Con queste parole Papa Francesco ha inziato la sua riflessione che ha concluso la Veglia Penitenziale – posta in chiusura del Ritiro spirituale dei Vescovi in preparazione alla Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi – svoltasi nella Basilica di San Pietro gremita di fedeli. Soprattutto di giovani. Davanti all’altare campeggia il Crocifisso di San Damiano, testimone silenzioso di questo Rito Penitenziale.
La riflessione del Santo Padre vede protagonista il tema del peccato che – come dice lo stesso Papa Francesco – “è sempre una ferita nelle relazioni: la relazione con Dio e la relazione con i fratelli e le sorelle”. E precisa: “La Chiesa è nella sua essenza di fede e di annuncio sempre relazionale, e solo curando le relazioni malate, possiamo diventare una Chiesa sinodale”. La domanda fondamentale che pone il Santo Padre ai Vescovi riuniti per il Sinodo è “Come potremmo essere credibili nella missione se non riconosciamo i nostri errori e non ci chiniamo a curare le ferite che abbiamo provocato con i nostri peccati?”. Dopo si sofferma sul Vangelo scelto per la Liturgia Penitenziale: è il Vangelo di Luca, capitolo 18.
Il Vangelo ci “presenta due uomini, un fariseo e un pubblicano, che vanno entrambi al tempio a pregare. Uno sta in piedi, con la fronte alta, l’altro resta indietro, con gli occhi bassi”. Pregare non vuol dire aspettarsi un premio per i propri meriti, tiene a precisare il Santo Padre. Per essere in relazione con Dio non è possibile dare spazio al proprio “io”. E poi si domanda: “Quante volte nella Chiesa ci comportiamo in questo modo? Quante volte abbiamo occupato tutto lo spazio anche noi, con le nostre parole, i nostri giudizi, i nostri titoli, la convinzione di avere soltanto meriti?”. Lo sguardo si rivolge al presente della Chiesa: “Noi oggi siamo tutti come il pubblicano, abbiamo gli occhi bassi e proviamo vergogna per i nostri peccati. Come lui, rimaniamo indietro, liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio. Non potremmo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle, alla Terra e a tutte le creature”.
E’ un grande “mea culpa” quello che Papa Francesco recita davanti all’assemblea riunita: “Di fronte al male e alla sofferenza innocente domandiamo: dove sei Signore? Ma la domanda dobbiamo rivolgerla a noi, e interrogarci sulle responsabilità che abbiamo quando non riusciamo a fermare il male con il bene”. E continua: “Alla vigilia dell’inizio dell’Assemblea del Sinodo, la confessione è un’occasione per ristabilire fiducia nella Chiesa e nei suoi confronti, fiducia infranta dai nostri errori e peccati, e per cominciare a risanare le ferite che non smettono di sanguinare”.
Le parole di Papa Francesco arrivano a conclusione di una Liturgia penitenziale davvero particolare, quasi “inedita” si potrebbe definire: testimonianze di donne e uomini a raccontare la loro storia davanti all’assemblea e ai microfoni del mondo, alternate alle richieste di perdono da parte della Chiesa. Sembra quasi un oceano in movimento: un’onda si alterna all’altra onda. Un oceano in movimento.
Quelle che si sono ascoltate durante questa Veglia sono parole che fanno riflettere la comunità, l’intera Chiesa. Parole come quelle pronunciate dal baritono Laurence Gien, residente in Germania, abusato in Sudafrica. Oppure come la testimonianza di una volontaria dell’accoglienza di migranti, Sara Vatteroni, Direttrice della Migrante Regionale Toscana, accompagnata da Solange (Migrante proveniente dalla Costa d’Avorio). E poi c’è la testimonianza di suor Deema Fayyad, originaria di Homs, una città siriana profondamente segnata dalla guerra.
A questi racconti, fanno eco le richieste di perdono pronuciate da esponenti della Chiesa. E’ il caso del Cardinal Oswald Gracias, Arcivescovo di Bombay (India), che ha chiesto perdono per il “peccato di mancanza di coraggio, del coraggio necessario alla ricerca di pace tra i popoli e le nazioni, nel riconoscimento dell’infinita dignità di ogni vita umana in tutte le sue fasi”. E aggiunge: “Ancora più grave è il nostro peccato, se per giustificare la guerra e le discriminazioni, invochiamo il nome di Dio”. Il cardinal Michael Czerny, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, chiede perdono per aver trasformato “il creato da giardino a deserto, manipolandolo a nostro piacimento; e per quanto non abbiamo fatto per impedirlo”. Il cardinale Seán Patrick O’ Malley, Arcivescovo Metropolita emerito di Boston (Stati Uniti d’America) che ha chiesto perdono per gli “abusi di coscienza, abusi di potere, e abusi sessuali”. Il Cardinal Kevin Joseph Farrel, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita “tutte le volte che non abbiamo riconosciuto e difeso la dignità delle donne, per quando le abbiamo rese mute e succubi, e non poche volte sfruttate, specie nella condizione della vita consacrata” e poi “per tutte le volte che abbiamo rubato la speranza e l’amore alle giovani generazioni”. Il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, il Cardinal Víctor Manuel Fernández, chiede perdono, invece, per tutte quelle volte che non si è stati “capaci di custodire e proporre il Vangelo come fonte viva di eterna novità”. Le parole di richiesta di perdono del Cardinal Cristóbal López Romero sono forti, precise e rimbombano fra le volte della Basilica Vaticana: “Chiedo perdono a nome di tutti nella Chiesa, provando vergogna per quando abbiamo girato la testa dall’altra parte di fronte al sacramento del povero, preferendo adornare noi stessi e l’altare di colpevoli preziosità che sottraggono il pane all’affamato”. L’Arcivescovo di Vienna, il Cardinal Christoph Schönborn, “per gli ostacoli che frapponiamo all’edificazione di una Chiesa veramente sinodale, sinfonica, consapevole di essere popolo santo di Dio che cammina insieme riconoscendo la comune dignità battesimale” e chiede perdono “per tutte le volte che non abbiamo ascoltato lo Spirito Santo, preferendo ascoltare noi stessi”.
.
Questo articolo è stato precedentemente pubblicato da acistampa.com